Se consideriamo nel suo risultato il funzionamento annuo del capitale sociale - dunque del capitale totale di cui i capitali individuali non costituiscono che frazioni (e il movimento di queste è tanto il loro individuale movimento, quanto, nello stesso tempo, un elemento integrante del movimento del capitale totale) -, se cioè consideriamo il prodotto merce che fornisce la società durante l'anno, deve apparir chiaro come si svolga il processo di riproduzione del capitale sociale, quali caratteri distinguano questo processo di riproduzione da quello di un capitale individuale, e quali siano comuni ad entrambi. Il prodotto annuo comprende sia le parti del prodotto sociale che sostituiscono il capitale, cioè la riproduzione sociale, sia le parti che entrano nel fondo di consumo, che vengono consumate da operai e capitalisti; dunque, sia il consumo produttivo, sia il consumo individuale. Include parimenti la riproduzione (cioè conservazione) della classe capitalistica e della classe operaia, perciò anche la riproduzione del carattere capitalistico dell'intero processo di produzione.
Evidentemente, è la formula di circolazione
M' - { D-M...P...M'/d-m
quella che dobbiamo analizzare, e in essa il consumo ha necessariamente una sua funzione; infatti il punto di partenza M' = M + m, il capitale merce, comprende sia il valore capitale costante e variabile, sia il plusvalore; quindi il suo movimento comprende tanto il consumo individuale, quanto il consumo produttivo. Nei cicli D-M...P...M'-D' e P...M'-D'- -M...P, punto di partenza e di arrivo è il movimento del capitale, il che include bensì il consumo, perché la merce, il prodotto, dev'essere venduta; ma, supposto ciò come avvenuto, per il movimento del capitale singolo è indifferente che cosa accada poi di questa merce. Nel caso del movimento di M'...M', invece, le condizioni della riproduzione sociale sono riconoscibili appunto per il fatto che si deve dimostrare che cosa avviene di ogni parte di valore del prodotto totale M'. Qui il processo di riproduzione totale comprende sia il processo di consumo mediato dalla circolazione, sia il processo di riproduzione del capitale stesso.
E precisamente, per lo scopo che ci prefiggiamo, il processo di riproduzione deve considerarsi sia dal punto di vista della reintegrazione del valore, sia da quello della sostituzione della materia, degli elementi singoli, di M'. Ora non possiamo più, come nell'analisi del valore dei prodotti del capitale singolo, accontentarci di supporre che il singolo capitalista sia in grado, prima, di convertire in denaro gli elementi del suo capitale vendendo le merci da lui prodotte, poi di riconvertirli in capitale produttivo riacquistando gli elementi di produzione sul mercato delle merci. Quegli elementi di produzione, in quanto siano di natura materiale, costituiscono una parte integrante del capitale sociale non meno del prodotto finito individuale che si scambia e si sostituisce con essi. D'altro lato, il movimento della parte di merci prodotte dalla società, che l'operaio consuma spendendo il suo salario e il capitalista spendendo il plusvalore, non solo forma un elemento integrante del movimento del prodotto totale, ma si intreccia al movimento dei capitali individuali, e non se ne può spiegare il decorso limitandosi a presupporlo.
La questione, come si presenta nella sua immediatezza, è la seguente: Il capitale consumato nella produzione annua come viene sostituito, secondo il suo valore, dal prodotto annuo? E il movimento di questa sostituzione come si intreccia al consumo del plusvalore ad opera dei capitalisti, e del salario ad opera dei lavoratori? Si tratta qui, a tutta prima, della riproduzione su scala semplice. Inoltre, si presuppone non soltanto che i prodotti si scambino al loro valore, ma che negli elementi del capitale produttivo non si verifichi nessuna rivoluzione di valore. Del resto, se i prezzi divergono dai valori, questa circostanza non può influire in alcun modo sul movimento del capitale sociale. Ora come prima, si scambiano nell'insieme le stesse quantità di prodotti, sebbene i singoli capitalisti vi partecipino in rapporti di valore che non sono più proporzionali alle loro rispettive anticipazioni e alle masse di plusvalore individualmente prodotte da ciascuno di essi. Quanto poi alle rivoluzioni di valore, esse non cambiano nulla ai rapporti fra gli elementi di valore del prodotto totale annuo, purché siano generali e uniformemente distribuite. Se invece sono parziali e distribuite in modo non uniforme, esse rispecchiano perturbazioni che, primo, sono comprensibili in quanto tali solo se considerate come deviazioni da rapporti di valore costanti; ma, secondo, se è dimostrata la legge per cui una parte di valore del prodotto annuo reintegra il capitale costante e un'altra il capitale variabile, una rivoluzione nel valore sia del capitale costante, sia del capitale variabile non muterebbe nulla a questa legge; varierebbe soltanto la grandezza relativa delle parti di valore funzionanti nell'uno o nell'altro ruolo, perché altri valori sarebbero subentrati ai valori originari.
Finché consideravamo individualmente la produzione di valore e il valore dei prodotti del capitale, ai fini dell'analisi la forma naturale delle merci prodotte, fossero per es. macchine o grano o specchi, era del tutto indifferente. Si trattava sempre di un esempio, e qualunque ramo di produzione poteva servire, allo stesso titolo, ad illustrare il fatto. Ciò di cui ci dovevamo occupare era lo stesso processo di produzione immediato, che si presenta in ogni punto come processo di un capitale individuale. In quanto si considerava la riproduzione del capitale, era sufficiente presupporre che, entro la sfera di circolazione, la parte delle merci prodotte che rappresenta valore capitale abbia modo di riconvertirsi nei suoi elementi di produzione e quindi nella sua forma di capitale produttivo, così come era sufficiente presupporre che operaio e capitalista trovino già sul mercato le merci in cui spendere salario e plusvalore. Questo mcdo di esposizione puramente formale non è più sufficiente quando si considerino il capitale sociale totale e il valore dei suoi prodotti. La riconversione di una parte del valore dei prodotti in capitale, l'ingresso di un'altra nel consumo individuale sia della classe capitalistica, sia della classe operaia, costituiscono un movimento entro lo stesso valore dei prodotti a cui il capitale totale ha messo capo; e questo movimento non è soltanto reintegrazione di valore, ma sostituzione di materia, ed è perciò determinato tanto dal rapporto reciproco fra gli elementi di valore del prodotto sociale, quanto dal loro valore d'uso, dalla loro forma materiale.
La riproduzione semplice su scala invariata appare come un'astrazione in quanto, da un lato, su base capitalistica l'assenza di ogni accumulazione o riproduzione su scala allargata è una bizzarra ipotesi, dall'altro le condizioni in cui si produce non rimangono in assoluto costanti (e questo è presupposto) in anni diversi. La premessa è che un capitale sociale di valore dato fornisca, in quest'anno come nel precedente, la stessa massa di valori merce e soddisfi la stessa quantità di bisogni, per quanto possano cambiare le forme delle merci nel processo di riproduzione. Ma, nella misura in cui si ha accumulazione, la riproduzione semplice ne costituisce sempre una parte; può quindi considerarsi per sé, ed è un fattore reale dell'accumulazione. Il valore del prodotto annuo può diminuire, benché la massa dei valori d'uso rimanga invariata; il valore può rimanere invariato, benché la massa dei valori d'uso diminuisca; massa del valore e massa dei valori d'uso riprodotti possono diminuire contemporaneamente. Tutto si riduce al fatto che la riproduzione si compie in condizioni più favorevoli o più difficoltose di prima, e queste ultime possono tradursi in una riproduzione incompleta, deficitaria. Tutto ciò può influire soltanto sul lato quantitativo dei diversi elementi della riproduzione, non sulla funzione che essi assolvono nel processo complessivo come capitale riprodu- cente o come reddito riprodotto.
Il prodotto totale, quindi anche la produzione totale, della società, si suddivide in due grandi sezioni:
I. Mezzi di produzione, merci che possiedono una forma in cui devono, o almeno possono, entrare nel consumo produttivo;
II. Mezzi di consumo, merci che possiedono una forma in cui entrano nel consumo individuale della classe capitalistica e della classe operaia.
In ognuna di queste sezioni, tutti i diversi rami di produzione che ad essa appartengono costituiscono un unico grande ramo di produzione; gli uni, quello dei mezzi di produzione; gli altri, quello dei mezzi di consumo. Il capitale totale impiegato in ognuno dei due rami di produzione costituisce una particolare grande sezione del capitale sociale.
In ogni sezione, il capitale si suddivide in due elementi:
1. Capitale variabile. Considerato secondo il valore, esso è eguale al valore della forza lavoro sociale impiegata in questo ramo di produzione, quindi alla somma dei salari per essa pagati. Considerato secondo la materia, è composto dalla stessa forza lavoro attivantesi, cioè dal lavoro vivo che questo valore capitale mette in moto.
2. Capitale costante, cioè il valore di tutti i mezzi di produzione impiegati per la produzione in questo ramo. Essi si suddividono a loro volta in capitale fisso - macchine, strumenti di lavoro, edifici, bestiame da lavoro, ecc. - e capitale costante circolante: materiali di produzione come le materie prime ed ausiliarie, i semilavorati, ecc.
Il valore del prodotto annuo totale, generato con l'aiuto di questo capitale in ognuna delle due sezioni, si suddivide in una parte di valore, che rappresenta il capitale costante c consumato nella produzione e, secondo il suo valore, soltanto trasferito al prodotto, e nella parte di valore aggiunta dal lavoro annuo totale. Quest'ultima parte si suddivide a sua volta nella reintegrazione del capitale variabile anticipato v, e nell'eccedenza su di esso, che costituisce il plusvalore p. Come il valore di ogni singola merce, così quello dell'intero prodotto annuo di ogni sezione si suddivide dunque in c + v + p.
La parte di valore c che rappresenta il capitale costante consumato nella produzione non coincide col valore del capitale costante impiegato nella produzione. Le materie di produzione sono bensì integralmente consumate, e il loro valore è quindi integralmente trasferito al prodotto; ma solo una parte del capitale fisso impiegato è consumata interamente e, quindi, il suo valore è interamente trasferito al prodotto. Un'altra parte del capitale fisso, macchine, edifici, ecc., continua ad esistere e funzionare come prima, anche se con valore ridotto dall'usura annua. Questa parte del capitale fisso che continua a funzionare, se consideriamo il valore dei prodotti, per noi non esiste. Costituisce una parte del valore capitale indipendente dal valore merce prodotto ex novo, esistente accanto ad esso. Lo si è già visto trattando del valore dei prodotti di un capitale singolo (Libro I, cap. VI, p. 192)I. Qui, però, dobbiamo provvisoriamente astrarre dal modo di trattazione ivi seguito. Considerando il valore dei prodotti del capitale singolo, abbiamo visto che il valore sottratto per usura al capitale fisso si trasferisce alle merci prodotte durante il tempo d'usura, sia che una parte di questo capitale fisso venga durante questo tempo sostituita in natura grazie al valore così trasmesso, oppure no. Qui, invece, dove si tratta del prodotto sociale totale e del suo valore, siamo costretti ad astrarre almeno in via provvisoria dalla parte di valore trasferita durante l'anno al prodotto annuo per usura del capitale fisso, in quanto questo capitale fisso non sia stato a sua volta sostituito in natura nel corso dell'anno. In un paragrafo successivoII del presente capitolo, esamineremo in particolare questo punto.
A base della nostra indagine sulla riproduzione semplice porremo il seguente schema, in cui c è— capitale costante, v = capitale variabile, p = plusvalore, e il rapporto di valorizzazione pIv è supposto eguale al 100%. I numeri possono indicare a piacere milioni di marchi, di franchi o di sterline.
I. Produzione di mezzi di produzione:
Capitale 4.000c + 1.000v = 5.000
Prodotto merce 4.000c + 1.000v + 1.000p = 6.000
esistenti in mezzi di produzione.
II. Produzione di mezzi di consumo:
Capitale 2.000c + 500v = 2500
Prodotto merce 2.000c + 500v + 500p = 3000
esistenti in mezzi di consumo.
Ricapitolando, prodotto merce totale annuo:
I. 4.000c + 1.000v + 1.000p = 6.000 mezzi di produzione.
II. 2.000c + 500v + 500p = 3.000 mezzi di consumo.
Valore totale = 9.000, da cui, secondo l'ipotesi, è escluso il capitale fisso che continua a funzionare nella sua forma naturale.
Se ora esaminiamo le transazioni necessarie sulla base della riproduzione semplice, dove perciò l'intero plusvalore è consumato improduttivamente, e così facendo trascuriamo a tutta prima la circolazione monetaria che le media, si ottengono immediatamente due grandi punti d'appoggio.
1. I 500v, salario degli operai, e i 500p, plusvalore dei capitalisti, della sezione II, devono essere spesi in mezzi di consumo. Ma il loro valore esiste nei mezzi di consumo per il valore di 1.000 che, nelle mani dei capitalisti della sezione II, sostituiscono i 500v anticipati e rappresentano i 500p. Dunque, salario e plusvalore della sezione II vengono scambiati entro la sezione II contro prodotto di II. Così dal prodotto totale scompaiono (500v + 500p) II = 1.000 in mezzi di consumo.
2. I 1.000v + 1.000p della sezione I devono egualmente essere spesi in mezzi di consumo; dunque, in prodotto della sezione II. Devono perciò scambiarsi contro la parte di capitale costante 2.000c, residua di questo prodotto e di eguale importo. In cambio, la sezione II ottiene un eguale importo di mezzi di produzione, prodotto di I, in cui è incorporato il valore dei 1.000v + 1.000p di I. Così scompaiono dal calcolo 2.000 IIc e (1.000v + 1.000p) I.
3. Rimangono ancora 4.000 Iv. Questi constano di mezzi di produzione che possono essere utilizzati soltanto nella sezione I, servono alla sostituzione del suo capitale costante consumato, e vengono quindi liquidati mediante scambio reciproco fra i singoli capitalisti I, esattamente come i (500v + 500p) II mediante scambio fra gli operai e i capitalisti, rispettivamente fra i singoli capitalisti, II.
Questo per ora, al solo fine di una migliore comprensione di tutto ciò che segue.
Cominciamo con il grande scambio fra le due classi. (1.000v + + 1.000p) I, questi valori esistenti nelle mani dei loro produttori nella forma naturale di mezzi di produzione, si scambiano contro 2.000 Ilc, contro valori esistenti nella forma naturale di mezzi di consumo. In tal modo la classe capitalistica II ha riconvertito il suo capitale costante, = 2.000, dalla forma di mezzi di consumo in quella di mezzi di produzione dei mezzi di consumo, forma in cui esso può riprendere a funzionare come fattore del processo di lavoro e della valorizzazione in qualità di valore capitale costante. D'altra parte, l'equivalente della forza lavoro I, (1.000 Iv), e il plusvalore dei capitalisti I, (1.000 Ip), sono così realizzati in mezzi di consumo; sono entrambi convertiti dalla forma naturale di mezzi di produzione in una forma naturale in cui li si può consumare come reddito.
Questo scambio reciproco avviene però tramite una circolazione monetaria che, da un lato, lo media, dall'altro ne rende difficile la comprensione, ma che è di importanza decisiva perché la parte variabile del capitale deve presentarsi sempre di nuovo in forma denaro, come capitale monetario che si tramuta da forma denaro in forza lavoro. In tutti i rami di industria eserciti contemporaneamente e parallelamente sull'intera periferia della società, appartengano essi alla sezione I o alla sezione II, il capitale variabile deve essere anticipato in denaro. Il capitalista compra la forza lavoro prima che entri nel processo di produzione, la paga solo a scadenze convenute, dopo che è già stata spesa nella produzione di valore d'uso. Come l'altra parte di valore del prodotto, così gli appartiene quello che è solo un equivalente del denaro speso in pagamento della forza lavoro; che rappresenta il valore capitale variabile. In questa stessa parte di valore, l'operaio gli ha già fornito l'equivalente del proprio salario. Ma è la riconversione della merce in denaro, la sua vendita, che riproduce al capitalista il suo capitale variabile come capitale denaro nuovamente anticipabile nell'acquisto di forza lavoro.
Nella sezione I, il capitalista collettivo ha dunque pagato agli operai 1.000 Lst. (dico sterline solo per indicare che si tratta di valore in forma denaro) = 1.000v, per la parte di valore che già esiste come parte v del prodotto di I, cioè dei mezzi di produzione da essi prodotti. Con queste 1.000 Lst., gli operai comprano mezzi di consumo per lo stesso valore dai capitalisti II, e così convertono in denaro una metà del capitale costante di II. A loro volta, con queste 1.000 Lst. i capitalisti II comprano dai capitalisti I mezzi di produzione del valore di 1.000; in tal modo, per questi ultimi capitalisti, il valore capitale variabile, = 1.000v, che esisteva come parte del loro prodotto nella forma naturale di mezzi di produzione, è riconvertito in denaro, e può funzionare nuovamente, in mano ai capitalisti I, come capitale denaro che si converte in forza lavoro; dunque, nell'elemento più importante del capitale produttivo. Per questa via essi riottengono in forma denaro, in seguito a realizzazione di una parte del loro capitale merce, il loro capitale variabile.
Per quanto tuttavia riguarda il denaro necessario per lo scambio della parte p del capitale merce di I contro la seconda metà della parte costante del capitale di II, esso può venire anticipato in vari modi. Nella realtà, questa circolazione comprende una quantità innumerevole di singole compravendite dei capitalisti individuali delle due sezioni, ma in ogni caso, poiché abbiamo già detratto la massa di denaro gettata in circolazione dagli operai, è da questi capitalisti che deve provenire il denaro. Può accadere sia che un capitalista della sezione II compri mezzi di produzione della sezione I con il suo capitale denaro esistente accanto al suo capitale produttivo, sia che, viceversa, un capitalista della sezione I compri mezzi di consumo da capitalisti della sezione II attingendo al fondo monetario destinato non a spese di capitale, ma a spese personali. Come si è mostrato nelle Sezioni prima e seconda di questo volume, si deve presupporre che in ogni caso esistano in mano al capitalista, accanto al capitale produttivo, certe scorte monetarie, a fini sia di anticipazione di capitale, sia di spesa di reddito. Supponiamo - al nostro scopo, la proporzione è qui del tutto indifferente - che la metà del denaro venga anticipata dai capitalisti II nell'acquisto di mezzi di produzione per sostituire il loro capitale costante, e l'altra metà venga spesa per consumo dai capitalisti I. La sezione II, allora, anticipa 500 Lst. e con esse compra da I mezzi di produzione; così ha sostituito in natura (comprendendo le suddette 1.000 Lst. provenienti dagli operai I) — del proprio capitale costante. Con le 500 Lst. così ricevute, la sezione I compra mezzi di consumo da II, e così ha descritto, per la metà della parte del suo capitale merce consistente in p, la circolazione m-d-m; ha realizzato in fondo di consumo questo suo prodotto. Attraverso questo secondo processo, le 500 Lst. ritornano nelle mani di II come capitale denaro da essa posseduto accanto al suo capitale produttivo.
D'altro lato, I anticipa, per la metà della parte p del suo capitale merce ancora giacente presso di lei come prodotto - prima d'essere venduta -, una spesa in denaro dell'ammontare di 500 Lst. per l'acquisto di mezzi di consumo II. Con le stesse 500 Lst., II acquista da I mezzi di produzione, e ha così sostituito in natura tutto il suo capitale costante (1.000 + 500 + 500 = 2.000), mentre I ha realizzato in mezzi di consumo tutto il suo plusvalore. Complessivamente, si sarebbe verificato uno scambio di merci per l'ammontare di 4.000 Lst. con una circolazione monetaria di 2.000 Lst. - grandezza derivante unicamente dal fatto di rappresentare l'intero prodotto annuo come scambiato tutto in una volta in poche grandi quote. L'importante, qui, è che non soltanto II riconverte nella forma di mezzi di produzione il suo capitale costante riprodotto in forma di mezzi di consumo, ma oltre a ciò ottiene di ritorno le 500 Lst. anticipate alla circolazione nella compera di mezzi di produzione; e che, parimenti, I non soltanto possiede di nuovo in forma denaro il suo capitale variabile riprodotto sotto forma di mezzi di produzione, lo possiede di nuovo come capitale denaro direttamente riconvertibile in forza lavoro; ma, oltre a ciò, gli rifluiscono le 500 Lst. che aveva spese come anticipo nell'acquisto di mezzi di consumo prima di vendere la parte di plusvalore del suo capitale. Gli rifluiscono però non mediante la spesa effettuata, ma attraverso la vendita successiva di una parte del suo prodotto merce depositaria della metà del suo plusvalore.
In entrambi i casi, non solo il capitale costante di II viene riconvertito dalla forma di prodotto nella forma naturale di mezzi di produzione, forma nella quale soltanto può fungere da capitale, così come la parte variabile del capitale di I viene convertita in forma denaro e la parte di plusvalore dei mezzi di produzione di I viene convertita in una forma atta al consumo, consumabile come reddito; ma, oltre a ciò, rifluiscono a II le 500 Lst. di capitale denaro che aveva anticipate nella compera di mezzi di produzione prima di vendere la parte corrispondente di valore del capitale costante - presente in forma di mezzi di consumo - che li compensava; rifluiscono inoltre a I le 500 Lst. che aveva spese come anticipo nell'acquisto di mezzi di consumo. Se a II rifluisce il denaro anticipato in conto della parte costante del suo prodotto merce, e a I rifluisce il denaro anticipato in conto di una parte di plusvalore del suo prodotto merce, ciò avviene soltanto perché i capitalisti di ognuna delle due sezioni hanno gettato nella circolazione 500 Lst. supplementari: quelli della prima, in più del capitale costante esistente in forma merce II; quelli della seconda, in più del plusvalore esistente in forma merce I; in definitiva, si sono pagati a vicenda scambiandosi i rispettivi equivalenti merce. Il denaro che avevano gettato in circolazione per mediare questo scambio di merci, in più dell'ammontare di valore delle loro merci, ritorna a ciascuno dalla circolazione prò rata della quota di esso gettata in circolazione da ognuna delle due sezioni. Non si sono arricchiti neppure di un quattrino. II possedeva un capitale costante = 2.000 in forma di mezzi di consumo + 500 in denaro; ora possiede 2.000 in mezzi di produzione e, come prima, 500 in denaro; parimenti, I possiede come prima un plusvalore di 1.000 (merci, mezzi di produzione, convertiti in fondo di consumo) +, come prima, 500 in denaro. Ne segue in generale: Del denaro che i capitalisti industriali gettano in circolazione per mediare la circolazione delle loro merci, sia in conto della parte costante di valore della merce, sia in conto del plusvalore esistente nelle merci (qualora lo si spenda come reddito), ritorna nelle mani dei rispettivi capitalisti esattamente quanto ne avevano anticipato per la circolazione del denaro.
Per quel che concerne la riconversione in forma denaro del capitale variabile della sezione I, per i capitalisti I, dopo che lo hanno speso in salario, esso esiste dapprima nella forma merce in cui gliel'hanno fornito gli operai. Essi l'hanno pagato a questi ultimi in forma denaro come prezzo della loro forza lavoro. In questo senso, hanno pagato l'elemento di valore del loro prodotto merce, che è pari a questo capitale variabile sborsato in denaro. In cambio, possiedono anche questa parte del prodotto merce. Ma la frazione di classe operaia da essi impiegata non è acquirente dei mezzi di produzione che ha prodotti; è acquirente dei mezzi di consumo prodotti da II. Perciò il capitale variabile anticipato in denaro nel pagamento della forza lavoro non torna direttamente ai capitalisti I: passa, tramite gli acquisti degli operai, nelle mani dei produttori capitalistici delle merci necessarie e, in genere, accessibili alla cerchia dei lavoratori, dunque nelle mani dei capitalisti II, e soltanto se questi impiegano il denaro nella compera di mezzi di produzione, soltanto per questa via traversa esso torna nelle mani dei capitalisti I.
Ne deriva che, nel caso della riproduzione semplice, la somma di valore v + p del capitale merce I (quindi anche una corrispondente parte proporzionale della somma delle merci prodotte in I) dev'essere eguale al capitale costante IIc, parimenti uscito dalla sezione II come parte proporzionale della somma delle merci ivi prodotte; in altri termini, I(v+p) = IIc.
Restano da esaminare gli elementi v + p del valore del prodotto merce della sezione II. La loro analisi non ha nulla a che vedere con la questione più importante che qui ci tiene occupati: cioè in qual misura la scomposizione del valore di ogni individuale prodotto merce capitalistico in c + v + p, anche se mediata da forme fenomeniche diverse, valga parimenti per il valore del prodotto totale annuo. Questo problema trova la sua soluzione nello scambio di I(v+p) contro IIc, da un lato, e nella analisi, riservata ad un secondo tempo, della riproduzione di Ic nel prodotto merce annuo I, dall'altro. Poiché II(v + p) esiste nella forma naturale di articoli di consumo, poiché il capitale variabile anticipato agli operai in pagamento della loro forza lavoro dev'essere, tutto sommato, speso da loro in mezzi di consumo, e poiché la parte di valore p delle merci, nell'ipotesi della riproduzione semplice, viene effettivamente spesa come reddito in mezzi di consumo, è chiaro prima facie che gli operai II riacquistano con il salario ricevuto dai capitalisti II una parte del loro stesso prodotto, corrispondente alla grandezza del valore in denaro ricevuto come salario. In tal modo, la classe capitalistica II riconverte in forma denaro il capitale denaro anticipato in pagamento della forza lavoro; è esattamente come se avesse pagato gli operai in puri e semplici segni di valore. Non appena gli operai avessero realizzato questi segni di valore acquistando una parte del prodotto merce da essi creato e appartenente ai capitalisti, essi ritornerebbero in mano a questi ultimi; solo che qui il segno non solo rappresenta un valore, ma lo possiede nella sua corporeità aurea o argentea. Rinviamo a più tardi l'analisi di questa specie di riflusso del capitale variabile anticipato in forma denaro attraverso il processo in cui la classe operaia appare come compratrice e la classe capitalistica come venditrice. Qui si tratta però di esaminare un altro punto, a proposito di questo riflusso del capitale variabile al suo punto di partenza.
La sezione II della produzione annua di merci comprende i più svariati rami d'industria, che però - rispetto ai loro prodotti - si possono dividere in due grandi sottosezioni:
a) Articoli di consumo che entrano del consumo della classe operaia e che, in quanto si tratti di mezzi di sussistenza necessari, formano pure, benché spesso diversi per qualità e valore da quelli degli operai, una parte del consumo della classe capitalistica. Ai nostri fini, possiamo riunire tutta questa sottosezione sotto la rubrica: articoli di consumo necessari, dove è del tutto indifferente che uno di questi prodotti, per es. il tabacco, sia o no un articolo di consumo necessario dal punto di vista fisiologico: è sufficiente che lo sia per consuetudine.
b) Articoli di consumo di lusso, che entrano soltanto nel consumo della classe capitalistica e, quindi, possono essere scambiati solo contro una spesa di plusvalore, plusvalore che non tocca mai all'operaio. Nel caso della prima categoria, è chiaro che il capitale variabile anticipato nella produzione dei generi di merci ad essa appartenenti deve rifluire direttamente in forma denaro alla parte della classe capitalistica II (quindi ai capitalisti IIa) che produce questi mezzi di sussistenza necessari, e che li vende ai suoi propri operai per l'ammontare del capitale variabile pagato loro in salario. Questo riflusso è diretto in rapporto all'intera sottosezione a della classe capitalistica II, per numerose che possano essere le transazioni fra i capitalisti dei diversi rami di industria interessati, mediante le quali questo capitale variabile in riflusso si ripartisce prò rata. Sono processi di circolazione i cui mezzi di circolazione vengono forniti direttamente dal denaro speso dagli operai. Diversamente stanno le cose per la sottosezione IIb. L'intera parte del valore prodotto ex novo, con cui qui abbiamo a che fare, cioè IIb (v + p), esiste nella forma naturale di articoli di lusso, articoli che la classe operaia non può acquistare così come non può acquistare il valore merce Iv esistente in forma di mezzi di produzione, sebbene quegli articoli di lusso siano i prodotti di questi stessi operai esattamente come questi mezzi di produzione. Il riflusso mediante il quale il capitale variabile anticipato in questa sottosezione ritorna in forma denaro ai produttori capitalistici non può quindi essere diretto; deve essere mediato, analogamente a quanto avviene per Iv.
Supponiamo per es., come sopra, che, per l'intera sezione II, v sia = 500 e p = 500, ma che il capitale variabile e il plusvalore ad esso corrispondente siano ripartiti come segue:
Sottosezione a: Mezzi di sussistenza necessari: v = 400, p = 400; dunque, una massa di merci in mezzi di consumo necessari del valore di 400, + 400, = 800; ovvero, IIa (400v + 400p).
Sottosezione b: Articoli di lusso del valore di 100v + 100p = 200; ovvero, IIb (100v + 100p).
Gli operai di IIb hanno ottenuto in denaro 100, diciamo 100 Lst., in pagamento della loro forza lavoro; con esse comprano dai capitalisti IIa mezzi di consumo per l'ammontare di 100. Con la stessa somma, questa classe di capitalisti compra merce IIb per 100, con il che i capitalisti IIb recuperano in forma denaro il loro capitale variabile.
In IIa, 400v esistono già in mano ai capitalisti, anch'essi in forma denaro, in seguito a scambio con i loro operai; inoltre, della parte del loro prodotto che rappresenta il plusvalore, 1/4 è stato ceduto agli operai IIb e, in cambio, sono stati ricevuti IIb (100v) in articoli di lusso.
Supponiamo ora nei capitalisti IIa e IIb un'eguale ripartizione proporzionale della spesa di reddito in mezzi di sussistenza necessari e in articoli di lusso; ammettiamo che sia gli uni sia gli altri spendano 3/5 in mezzi di sussistenza necessari e 2/5 in articoli di lusso. I capitalisti della sottosezione IIa spenderanno allora il reddito di plusvalore = 400p, per 3/5 = 240 in prodotti loro propri, mezzi di sussistenza necessari, e, per 2/5 = 160, in articoli di lusso; i capitalisti della sottosezione IIb ripartiranno egualmente il loro plusvalore = 100p in 3/5 = 60 per mezzi di sussistenza necessari e 2/5 = 40 per articoli di lusso, questi ultimi prodotti e scambiati entro la loro sottosezione.
I 160 articoli di lusso che riceve (IIa)v affluiscono ai capitalisti IIa nel modo che segue: Dei (IIa) 400p, come abbiamo visto, 100 sono stati scambiati sotto forma di mezzi di sussistenza necessari contro un eguale ammontare di (IIb)v esistenti in articoli di lusso, e altri 60 in mezzi di sussistenza necessari contro (IIb) 60p esistenti in articoli di lusso. Il calcolo totale si presenta quindi così:
IIa: 400v + 400p ; IIb: 100v + 100p .
1) 400v (a) vengono divorati dagli operai IIa, del cui prodotto (mezzi di sussistenza necessari) formano una parte; gli operai li comprano dai produttori capitalistici della loro stessa sezione, ai quali perciò rifluiscono in denaro 400 Lst., il valore capitale variabile di 400 versato ai rispettivi operai in forma salario. Con tale somma, essi possono nuovamente comprare forza lavoro.
2) Una parte dei 400, (a) eguale ai 100v (b), dunque 1I4 del plusvalore (a), viene realizzata in articoli di lusso come segue: gli operai (b) hanno ricevuto dai capitalisti della loro sezione (b) 100 Lst. in salario; con queste 100 Lst. comprano 1/4 di p (a), cioè merci consistenti in mezzi di sussistenza necessari; con questo denaro i capitalisti a comprano per lo stesso importo di valore articoli di lusso = 100v (b), cioè una metà dell'intera produzione di lusso. Con ciò, ai capitalisti b rifluisce in forma denaro il loro capitale variabile, ed essi, rinnovando l'acquisto della forza lavoro, possono cominciare di nuovo la loro riproduzione, poiché l'intero capitale costante di tutta la sezione II è già stato reintegrato mediante lo scambio di I(v+p) contro IIc. La forza lavoro degli operai dell'industria di lusso è quindi nuovamente vendibile solo perché la parte del loro prodotto fabbricata come equivalente del loro salario, e attratta dai capitalisti IIa nel loro fondo di consumo, viene spesa da questi ultimi. (Lo stesso vale per la vendita della forza lavoro sub I, poiché il IIc contro il quale si scambia I(v + p) consta sia di mezzi di lusso, sia di mezzi di sussistenza necessari, e ciò che viene rinnovato con I(v+p) costituisce i mezzi di produzione sia degli articoli di lusso, sia dei mezzi di sussistenza necessari).
3) Veniamo ora allo scambio fra a e b, in quanto è solo uno scambio fra capitalisti delle due sottosezioni. Con ciò che si è svolto finora, si sono liquidati il capitale variabile (400v) e una parte del plusvalore (100p) in a, e il capitale variabile (100v) in b. Si è inoltre presupposto, come rapporto medio della spesa capitalistica di reddito in entrambe le sottosezioni, 2/5 per lusso e 3/5 per bisogni necessari. Oltre alle 100 già spese per lusso, toccano dunque ancora 60 per lusso alla intera sottosezione a e 40, nella stessa proporzione, alla b.
(IIa)p viene quindi ripartito in 240 per mezzi di sussistenza e 160 per articoli di lusso = 240 + 160 = 400, (IIa).
(IIb)p si ripartisce in 60 per mezzi di sussistenza e 40 per articoli di lusso: 60 + 40 = 100p (IIb). Questa sottosezione consuma gli ultimi 40 attingendoli al suo stesso prodotto (2/5 del suo plusvalore); i 60 per mezzi di sussistenza li riceve scambiando 60 del suo plusprodotto contro 60p (a).
Abbiamo quindi per l'intera classe capitalistica II (dove v + p nella sottosezione a esistono in mezzi di sussistenza necessari e, nella sottosezione b, in articoli di lusso):
IIa (400v + 400p) + IIb (100v + 100p) = 1.000; che sono così realizzati mediante il movimento: 500v (a + b) { realizzati in 400v (a) e 100p (a) } + 500p (a + b) { realizzati in 300p (a) + +100v (b) + 100p (b) } = 1.000.
Per a e b, ognuno considerato a sé, otteniamo la realizzazione:
a) v p
---------- + ------------------------------------- = 800
(400va) 240p(a) + 100v(b) + 60p(b)
b) v p
------------ + ------------------------------------- = 200
100p(a) 60p (a) + 40p(b)
----------------
1000
Se, per semplificare, manteniamo lo stesso rapporto fra capitale variabile e capitale costante (cosa, sia detto per inciso, per nulla necessaria), a 400v (a) corrisponderà un capitale costante = 1.600, e a 100v (b) un capitale costante = 400, e avremo per II le seguenti due sezioni a e 6:
IIa: 1.600c + 400v + 400p = 2.400.
IIb: 400c + 100v + 100p = 600.
E insieme:
2.000c + 500v + 500p = 3000.
Corrispondentemente, dei 2.000 IIc in mezzi di consumo che vengono scambiati contro 2.000 I(v+p), 1.600 vengono convertiti in mezzi di produzione di mezzi di sussistenza necessari, e 400 in mezzi di produzione di articoli di lusso.
I 2.000 I(v+p), a loro volta, si ripartirebbero quindi in (800v + 800p) I per a = 1.600 mezzi di produzione di mezzi di sussistenza necessari, e in (200v + 200p) I per b = 400 mezzi di produzione di articoli di lusso.
Una parte notevole non solo dei veri e propri mezzi di lavoro, ma anche delle materie prime ed ausiliarie, ecc., è della stessa natura per le due sezioni. Ma, per quanto riguarda gli scambi fra le diverse parti di valore del prodotto totale I(v + p), questa divisione sarebbe del tutto indifferente. Tanto i suddetti 800 Iv, quanto i 200 Iv, vengono realizzati perché il salario viene speso in mezzi di consumo 1.000 IIc; quindi, al ritorno, il capitale denaro anticipato per esso si ripartisce uniformemente fra i produttori capitalistici I, sostituisce loro di nuovo in denaro, pro rata, il capitale variabile anticipato; d'altra parte, per ciò che riguarda la realizzazione dei 1.000 Ip, anche qui i capitalisti trarranno uniformemente dall'intera seconda metà di IIc = 1.000 (in proporzione alla grandezza del loro p) 600 IIa e 400 IIb in mezzi di consumo; dunque, quelli che sostituiscono il capitale costante di IIa:
480 (3/5) da 600c (IIa) e 320 (2/5) da 400c (IIb) = 800;
e quelli che sostituiscono il capitale costante di IIb:
120 (3/5) da 600c (IIa) e 80 (2/5) da 400c (IIb) = 200.
Totale: 1.000.
Ciò che qui è arbitrario, sia per I che per II, è il rapporto fra capitale variabile e capitale costante, come pure l'identità di questo rapporto per I e II e per le loro sottosezioni. Questa identità è presupposta a puri scopi di semplificazione, e il fatto di assumere rapporti diversi non cambierebbe assolutamente nulla né alle condizioni del problema, né alla sua soluzione. Quel che però si ottiene come risultato necessario, nell'ipotesi della riproduzione semplice, è che:
1) Il valore prodotto ex novo dal lavoro annuo (e scomponibile in v + p) nella forma naturale di mezzi di produzione è eguale al valore capitale costante c contenuto nel valore in prodotti creato dall'altra parte del lavoro annuo, e riprodotto in forma di mezzi di consumo. Se fosse minore di IIc, II non potrebbe reintegrare tutto il suo capitale costante; se fosse maggiore, resterebbe inutilizzata un'eccedenza. In ambo i casi, il presupposto della riproduzione semplice sarebbe violato.
2) Nel caso del prodotto annuo riprodotto nella forma di mezzi di consumo, il capitale variabile v anticipato in forma denaro è realizzabile da coloro che lo ricevono, in quanto siano operai della industria di lusso, unicamente nella parte dei mezzi di sussistenza necessari che per i loro produttori capitalistici materializza -prima facie il loro plusvalore; il v speso nella produzione di articoli di lusso è quindi eguale ad una parte di p, corrispondente alla sua grandezza di valore, prodotta nella forma di mezzi di sussistenza necessari; dunque, dev'essere minore del totale di questo p (cioè IIa,)] e solo attraverso la realizzazione di quel v in questa parte di p i produttori capitalistici degli articoli di lusso ricevono di ritorno, in forma denaro, il loro capitale variabile anticipato. È questo un fenomeno del tutto analogo alla realizzazione di I(v + p) in II,; solo che, nel secondo caso, (IIb)v si realizza in una parte di (IIa)p ad essa eguale per grandezza di valore. Questi rapporti rimangono qualitativamente determinanti in ogni ripartizione del prodotto annuo totale, in quanto esso entri effettivamente nel processo della riproduzione annua mediata dalla circolazione. I(v + p) è soltanto realizzabile in IIc, cosi come Ilc è rinnovabile nella sua funzione di elemento del capitale produttivo solo mediante questa realizzazione; parimenti, (IIb)v è realizzabile solo in una parte di (IIa)p, e soltanto così (IIb)v è riconvertibile nella sua forma di capitale denaro. Inutile dire che ciò vale solo in quanto tutto questo sia effettivamente un risultato del processo di riproduzione; dunque in quanto, per es., i capitalisti IIb non prendano altrove a credito il capitale denaro per v. Quantitativamente, invece, le conversioni delle diverse parti del prodotto annuo possono avvenire proporzionalmente come sopra indicato soltanto nella misura in cui scala e rapporti di valore della produzione rimangano stazionari e questi rapporti rigorosi non vengano alterati dal commercio estero.
Se ora si dicesse, alla maniera smithiana, che I(v + p) si risolve in IIc, e IIc si risolve in I(v + p) o, come egli usa dire più spesso e in modo ancor più assurdo, che I(v + p) forma delle componenti del prezzo (rispettivamente valore; egli dice value in exchange) di IIc, e IIc forma l'intera parte componente del valore I(v + p), allora si potrebbe e si dovrebbe dire del pari che (IIb)v, si risolve in (IIa)p, oppure [IIa)v si risolve in (IIb)v, ovvero che (IIb)v forma una parte componente del plusvalore IIa, e viceversa; così il plusvalore si risolverebbe in salario, rispettivamente capitale variabile, e il capitale variabile formerebbe una «parte componente» del plusvalore. In realtà, questo assurdo si ritrova in Smith nella misura in cui, per lui, il salario è determinato dal valore dei mezzi di sussistenza necessari, mentre questi valori merce sono determinati a loro volta dal valore del salario (capitale variabile) e del plusvalore in essi contenuti. Egli è talmente assorbito dalle frazioni in cui è scomponibile il valore prodotto ex novo da una giornata lavorativa su basi capitalistiche - cioè v + p -, che dimentica completamente che, nello scambio semplice di merci, è del tutto indifferente che gli equivalenti esistenti in diversa forma naturale consistano in lavoro pagato o non pagato, perché in entrambi i casi essi costano per la loro produzione la stessa quantità di lavoro; e altrettanto indifferente è che la merce di A sia un mezzo di produzione e quella di B un articolo di consumo; che, a vendita avvenuta, l'una merce debba funzionare come elemento del capitale e l'altra, invece, entri nel fondo di consumo e, secundum Adam, venga divorata come reddito. L'uso che il compratore individuale fa della sua merce non cade nello scambio di merci, nella sfera di circolazione, e non incide sul valore della merce; né le cose cambiano in alcun modo per il fatto che, nell'analisi della circolazione del prodotto sociale totale annuo, si debba tenere in considerazione la particolare destinazione d'uso, l'elemento del consumo, delle diverse parti costitutive del prodotto stesso.
Nello scambio sopra constatato di (IIb)v contro una parte equivalente di (IIa)p, e negli ulteriori scambi fra (IIa)p e (IIb)p, non è affatto presupposto che i singoli capitalisti di IIa e IIb, o le loro rispettive totalità, dividano nello stesso rapporto il loro plusvalore fra oggetti di consumo necessari e articoli di lusso. Uno può spendere di più in questo consumo, un altro di più in quello. Sul terreno della riproduzione semplice, si presuppone soltanto che una somma di valore eguale all'intero plusvalore venga realizzata in fondo di consumo. I limiti sono perciò dati. All'interno di ogni sezione, uno può concedersi di più in a e l'altro di più in b; ma le cose possono compensarsi a vicenda in modo che le classi capitalistiche a e b, prese in blocco, partecipino ciascuna nello stesso rapporto ad entrambe. I rapporti di valore - la parte proporzionale del valore totale del prodotto II spettante alle due categorie di produttori a e b, quindi anche un dato rapporto quantitativo fra i rami di produzione che forniscono quei prodotti - sono però necessariamente dati in ogni caso concreto; solo il rapporto che figura a titolo d'esempio è ipotetico; il fatto di assumerne un altro non cambia nulla agli elementi qualitativi; solo le determinazioni quantitative muterebbero. Ma se, per circostanze quali che siano, nella grandezza proporzionale di a e 6 si verificasse un'effettiva variazione, anche le condizioni della riproduzione semplice cam- bierebbero in corrispondenza.
Dal fatto che (IIb)v viene realizzato in una parte equivalente di (IIa)v, segue che, nello stesso rapporto in cui la parte di lusso del prodotto annuo aumenta, e una quota crescente della forza lavoro viene assorbita nella produzione di articoli di lusso, la riconversione del capitale variabile anticipato in (IIb)v in capitale denaro, funzionante di nuovo come forma denaro del capitale variabile, e con ciò l'esistenza e riproduzione della parte occupata in IIb della classe operaia - il suo approvvigionamento in mezzi di consumo necessari -, vengono condizionati dalla prodigalità della classe capitalistica, dalla conversione di una parte considerevole del suo plusvalore in articoli di lusso.
Ogni crisi riduce momentaneamente il consumo di lusso; rallenta, ritarda la riconversione di (IIb)v in capitale denaro, la ammette solo in parte, e così getta sul lastrico una frazione degli operai delle industrie di lusso, mentre d'altro lato, appunto perciò, ostacola e restringe la vendita dei mezzi di consumo necessari, a prescindere poi dagli operai improduttivi, contemporaneamente licenziati, che per i loro servizi beneficiano di una parte delle spese di lusso dei capitalisti (questi stessi operai sono, prò tanto, articoli di lusso) e che partecipano anche in forte misura al consumo di mezzi di sussistenza necessari, ecc. Accade l'opposto nei periodi di prosperità e, in particolare, nei giorni della sua ebbrezza speculativa, quando già per altre cause il valore relativo del denaro espresso in merci scende (senza altra effettiva rivoluzione di valore) e quindi il prezzo delle merci sale indipendentemente dal valore loro proprio. Non solo cresce il consumo di mezzi di sussistenza necessari, ma la classe operaia (in cui è entrato in azione tutto il suo esercito di riserva) partecipa momentaneamente anche al consumo di articoli di lusso che le sono altrimenti inaccessibili, oltre che al consumo della categoria degli articoli di consumo necessari che, di norma, costituiscono in massima parte mezzi di consumo «necessari» soltanto per la classe capitalistica; il che provoca a sua volta un aumento dei prezzi.
È una pura tautologia dire che le crisi nascono da mancanza di consumo solvibile o di consumatori solvibili. Il sistema capitalistico non conosce specie di consumo che non sia quella solvibile, fatta eccezione per il consumo sub forma pauperis o per quello del «mariuolo». Che delle merci siano invendibili, non significa se non che per esse non si sono trovati compratori in grado di pagare, dunque consumatori (sia che le merci vengano comprate, in ultima istanza, a scopo di consumo produttivo o di consumo individuale). Ma, se si vuol dare a questa tautologia una parvenza di più profonda giustificazione dicendo che la classe operaia riceve una quota troppo misera del suo stesso prodotto; che, quindi, al male si porrebbe rimedio qualora ne ricevesse una parte maggiore, e di conseguenza il suo salario crescesse, c'è solo da osservare che le crisi sono preparate ogni volta proprio da un periodo in cui il salario in generale aumenta e la classe operaia riceve realiter una quota maggiore della parte del prodotto annuo destinata al consumo. Dal punto di vista di questi cavalieri del sano e «semplice» buon senso, quel periodo dovrebbe viceversa allontanare la crisi. Sembra dunque che la produzione capitalistica implichi condizioni indipendenti dalla buona o cattiva volontà, che solo in via momentanea, e sempre soltanto come segno premonitore di una crisi, permettono quella prosperità relativa della classe operaia». (Ad notam per eventuali partigiani della teoria delle crisi di Rodbertus». F. E.)
Si è visto in precedenza come il rapporto proporzionale fra la produzione di mezzi di consumo necessari e la produzione di articoli di lusso determini la ripartizione di II(v + p) fra IIa e IIb - quindi anche quella di IIC fra (IIa)c e (IIb)c. Essa investe quindi alle radici il carattere e i rapporti quantitativi della produzione, ed è un fattore che ne determina in modo decisivo tutta la struttura.
La riproduzione semplice ha essenzialmente per fine il consumo, sebbene l'appropriazione di plusvalore appaia come motivo animatore dei capitalisti individuali; il plusvalore - qualunque ne sia la grandezza proporzionale - deve qui servire, in definitiva, unicamente al consumo individuale del capitalista.
Nella misura in cui la riproduzione semplice è anche parte, e la parte più importante, di ogni riproduzione annua su scala allargata, questo movente va di pari passo e, nello stesso tempo, in antitesi a quello dell'arricchimento in quanto tale. In realtà, la cosa appare più complicata, perché i partecipanti (partners) al bottino - il plusvalore del capitalista - intervengono come consumatori da lui indipendenti.
Secondo quanto si è finora sviluppato, la circolazione fra le diverse categorie di produttori si svolgeva in base al seguente schema:
1. Fra la sezione l e la sezione II:
I. 4.000c + 1.000v + 1000p
-------------------
II . . . . . . . 2.000c . . . . . + 500v + 500p
È cosi giunta a buon fine la circolazione di IIc = 2.000, che si è scambiato contro I (1.000v + 1.000p).
Rimane ancora - poiché per il momento lasciamo da parte 4.000 Ic - la circolazione di v + p entro la sezione II. Ora II(v + P) si suddivide fra le sezioni IIa e IIb come segue:
2. II. 500v + 5009 = a (400v + 400p) + b (100v + 100p).
I 400v (a) circolano entro la loro stessa sottosezione; gli operai che li ricevono in pagamento comprano dai loro imprenditori, i capitalisti IIa, mezzi di sussistenza da essi stessi prodotti.
Poiché i capitalisti di entrambe le sottosezioni spendono il loro plusvalore, gli uni come gli altri, per 3I5 in prodotti di IIa (mezzi di sussistenza necessari) e per 2I5 in prodotti di IIb (articoli di lusso), 3I5 del plusvalore a, quindi 240, vengono consumati entro la stessa sottosezione IIa, mentre 2I5 del plusvalore b (prodotto e presente in articoli di lusso) vengono consumati entro la sottosezione IIb.
Dunque, fra IIa e IIb restano ancora da scambiare:
dal lato di IIa: 160p,
dal lato di IIb: 100v + 60p.
Questi si risolvono gli uni negli altri. Gli operai IIb comprano da IIa, per i 100 ricevuti come salario in denaro, mezzi di sussistenza necessari per l'importo di 100. I capitalisti IIb comprano parimenti da IIa, per l'ammontare di 3/5 del loro plusvalore = 60, i loro mezzi di sussistenza necessari. Con ciò i capitalisti IIa ricevono il denaro necessario per impiegare i 2/5, come si è supposto più sopra, del loro plusvalore = 160p, negli articoli di lusso prodotti da IIb (100v, giacenti nelle mani dei capitalisti IIb come prodotto che sostituisce il salario pagato, e 60p). Lo schema relativo è quindi:
3. IIa. (400v) + (240p) + 160p
------------------------
IIb . . . . . . . . . . . . . . 100v + 60p + (40p),
dove le quote fra parentesi sono quelle che circolano e vengono consumate solo all'interno della propria sottosezione.
Il riflusso diretto del capitale denaro anticipato in capitale variabile, che avviene soltanto per la sezione di capitalisti IIa, produttrice di mezzi di sussistenza necessari, non è se non una manifestazione, modificata da condizioni speciali, della legge generale precedentemente ricordata, secondo cui produttori di merci, che anticipano denaro alla circolazione, lo ricevono di ritorno, se la circolazione delle merci si svolge normalmente. Ne segue, per inciso, che se dietro il produttore di merci in generale sta un capitalista monetario il quale anticipi a sua volta al capitalista industriale capitale denaro (nel senso più stretto del termine, dunque valore capitale in forma denaro), il vero e proprio punto di riflusso di quel denaro è la tasca di questo capitalista monetario. In tal modo, benché il denaro circoli più o meno per ogni sorta di mani, la massa del denaro circolante appartiene alla sezione, organizzata e concentrata in forma di banche ecc., del capitale monetario; il modo in cui questa anticipa il suo capitale determina il costante riflusso finale ad essa in forma denaro, sebbene questo sia a sua volta mediato dalla riconversione del capitale industriale in capitale monetario.
Due cose sono sempre necessarie per la circolazione delle merci: merci gettate in circolazione e denaro gettato in circolazione. «Diversamente dallo scambio diretto di prodotti, il processo di circolazione non si esaurisce nel cambio di posto o di mano dei valori d'uso. Il denaro non sparisce per il fatto che, alla fine, abbandona il ciclo di metamorfosi di una data merce; esso precipita sempre su un punto della circolazione che le merci hanno lasciato sgombro». (Libro I, cap. III, p. 92)I.
Per es., nella circolazione fra IIc e I(v + p), avevamo supposto che per questa circolazione 500 Lst. vengano anticipate in denaro da II. Nel numero infinito di processi di circolazione in cui si risolve la circolazione fra grandi gruppi sociali di produttori, interverrà dapprima come acquirente - quindi getterà in circolazione denaro - ora uno di questo, ora uno di quel gruppo. A prescindere da circostanze individuali, ciò è determinato dalla stessa diversità dei periodi di produzione e quindi delle rotazioni dei diversi capitali merce. II compra dunque da I con 500 Lst. mezzi di produzione per lo stesso ammontare di valore, ma I compra da II mezzi di consumo per 500 Lst.; il denaro rifluisce quindi a II. Da tale riflusso, quest'ultimo non è in alcun modo arricchito. Ha prima gettato in circolazione denaro per 500 Lst. e ne ha ritirato merci per lo stesso ammontare di valore; poi vende merci per 500 Lst. e per lo stesso ammontare di valore ne ritira denaro; così le 500 Lst. rifluiscono. In realtà, così II ha gettato in circolazione denaro per 500 Lst. e merci per 500 = 1.000 Lst.; ritira dalla circolazione merci per 500 Lst. e denaro per 500 Lst. Per lo scambio di 500 Lst. in merci (I) e 500 Lst. in merci (II), la circolazione non ha bisogno che di 500 Lst. in denaro; chi dunque ha anticipato denaro nell'acquisto di merce altrui, lo riceve di nuovo nella vendita di merce propria. Se perciò I avesse prima comprato merce da II per 500 Lst., poi venduto merce a II per 500 Lst., le 500 Lst. tornerebbero a I invece che a II.
Nella sezione I, il denaro investito in salario, cioè il capitale variabile anticipato in forma denaro, non ritorna in questa forma direttamente, ma indirettamente, per una via traversa. In II, invece, le 500 Lst. di salario tornano direttamente dagli operai ai capitalisti, così come è sempre diretto questo ritorno laddove la compravendita si ripete fra le medesime persone, in modo che esse si presentino le une di fronte alle altre, alternativamente, come acquirenti e come venditrici di merci. Il capitalista II paga la forza lavoro in denaro; quindi incorpora la forza lavoro nel suo capitale, e solo mediante questo atto di circolazione, che per lui non è se non conversione di capitale denaro in capitale produttivo, si presenta come capitalista industriale di fronte all'operaio come suo salariato. Poi, tuttavia, l'operaio, che in prima istanza era venditore, commerciante in forza lavoro propria, si presenta in seconda istanza come compratore, come possessore di denaro, di fronte al capitalista come venditore di merce; così a quest'ultimo rifluisce il denaro speso in salario. La vendita di queste merci, nella misura in cui non implica truffa ecc., ma è scambio di equivalenti in merce e denaro, non è un processo attraverso il quale il capitalista arricchisca. Egli non paga due volte l'operaio, prima in denaro, poi in merce; il suo denaro gli rifluisce non appena l'operaio lo spende presso di lui in merce.
Il capitale denaro convertito in capitale variabile - dunque il denaro anticipato in salario - recita però una parte essenziale nella stessa circolazione monetaria, perché - dato che la classe operaia deve vivere alla giornata, quindi non può fare nessun credito a lungo termine al capitalista industriale - in innumerevoli punti spazialmente diversi della società capitale variabile dev'essere anticipato simultaneamente in denaro in dati termini brevi, come una settimana, ecc. - in frazioni di tempo che si ripetono in modo relativamente veloce (più brevi sono queste frazioni, più piccola può essere relativamente la somma complessiva di denaro gettata di colpo in circolazione attraverso questo canale), quali che siano i differenti periodi di rotazione dei capitali nei diversi rami di industria. In ogni paese a produzione capitalistica, il capitale denaro così anticipato costituisce una parte proporzionalmente decisiva della circolazione totale, tanto più che lo stesso denaro - prima del suo riflusso al punto di partenza - gira e rigira nei più svariati canali e funge da mezzo di circolazione per una quantità di altri affari.
Consideriamo ora la circolazione fra I(v + p) e IIc da un altro punto di vista.
I capitalisti I anticipano 1.000 Lst. in pagamento di salario, con cui gli operai comprano mezzi di sussistenza dai capitalisti II per 1.000 Lst.; questi comprano a loro volta, per lo stesso denaro, mezzi di produzione dai capitalisti I. A questi ultimi è ora ritornato in forma denaro il loro capitale variabile, mentre i capitalisti II hanno riconvertito la metà del loro capitale costante dalla forma di capitale merce in capitale produttivo. I capitalisti II anticipano altre 500 Lst. in denaro per prelevare mezzi di produzione da I; i capitalisti I spendono il denaro in mezzi di consumo di II; così quelle 500 Lst. rifluiscono ai capitalisti II, che li anticipano nuovamente per riconvertire nella sua forma naturale produttiva l'ultimo quarto del loro capitale costante convertito in merce. Questo denaro rifluisce a I e preleva nuovamente da II mezzi di consumo per lo stesso ammontare; con ciò le 500 Lst. rifluiscono a II, i cui capitalisti sono, ora come prima, in possesso di 500 Lst. in denaro e 2.000 Lst. in capitale costante, che però è stato nuovamente convertito dalla forma di capitale merce in capitale produttivo. Con 1.500 Lst. di denaro è stata fatta circolare una massa di merci di 5.000 Lst.; cioè,
1) I paga gli operai 1.000 Lst. per forza lavoro dello stesso ammontare di valore;
2) gli operai comprano con le stesse 1.000 Lst. mezzi di sussistenza da II;
3) con lo stesso denaro, II compra mezzi di produzione da I, al quale, in tal modo, sono ricostituite in forma denaro 1.000 Lst. di capitale variabile;
4) II compra con 500 Lst. mezzi di produzione da I;
5) con le stesse 500 Lst., I compra mezzi di consumo da II;
6) II compra con le stesse 500 Lst. mezzi di produzione da I;
I) Con le stesse 500 Lst. I compra mezzi di sussistenza da II.
A II sono rifluite le 500 Lst. che, oltre alle sue 2.000 Lst. in merce, aveva gettate in circolazione, e per le quali non aveva sottratto alla circolazione nessun equivalente in merce. (L'esposizione diverge qui parzialmente da quella data più sopra. Là anche I gettava nella circolazione una somma indi- Pendente di 500. Qui soltanto II fornisce il materiale monetario addizionale per la circolazione. Ciò tuttavia non cambia nulla al risultato finale. - F. E.)
Le transazioni si svolgono quindi come segue:
1. I paga 1.000 Lst. in denaro per forza lavoro; dunque, merce = 1.000 Lst.
2. Con il salario, gli operai comprano mezzi di consumo da II per l'importo in denaro di 1.000 Lst.; dunque, merce = 1.000 Lst.
3. Con le 1.000 Lst. ricevute dagli operai, II compra mezzi di produzione per lo stesso valore da I; dunque, merce = 1.000 Lst.
Così a I sono rifluite 1.000 Lst. in denaro come forma denaro del capitale variabile.
4. II compra per 500 Lst. mezzi di produzione da I; dunque, merce = 500 Lst.
5. Per le stesse 500 Lst., I compra mezzi di consumo da II; dunque, merce = 500 Lst.
6. Per le stesse 500 Lst., II compra mezzi di produzione da I; dunque, merce = 500 Lst.
I. Per le stesse 500 Lst., I compra mezzi di consumo da II; dunque, merce = 500 Lst.
Somma del valore merce scambiato = 5.000 Lst.
Le 500 Lst. che II aveva anticipato nella compera gli sono rifluite.
Il risultato è:
1) I possiede capitale variabile in forma denaro per l'importo di 1.000 Lst., che in origine aveva anticipato alla circolazione; ha inoltre speso per il suo consumo individuale 1.000 Lst. - nel suo stesso prodotto merce; cioè ha speso il denaro che aveva incassato vendendo mezzi di produzione per l'ammontare di valore di 1.000 Lst.
D'altra parte, la forma naturale in cui si deve convertire il capitale variabile esistente in forma denaro - cioè la forza lavoro -, è mantenuta, riprodotta e resa nuovamente disponibile, grazie al consumo come l'unico articolo di commercio che i suoi possessori, se vogliono vivere, sono costretti a vendere. È quindi anche riprodotto il rapporto fra lavoratore salariato e capitalista.
2) Il capitale costante di II è sostituito in natura, e le 500 Lst. che lo stesso II aveva anticipato alla circolazione gli sono rifluite.
Per gli operai I, la circolazione è quella semplice, M-D-M, cioè M (forza lavoro) - D (1.000 Lst., forma denaro del capitale variabile I) - M (mezzi di sussistenza necessari per l'ammontare di 1.000 Lst.); queste 1.000 Lst. monetizzano per lo stesso importo di valore il capitale costante II, esistente in forma di merce - mezzi di sussistenza.
Per i capitalisti II, il processo è M-D, conversione di una parte del loro prodotto merce in forma denaro, da cui esso viene riconvertito in elementi del capitale produttivo - cioè in una parte dei mezzi di produzione ad essi necessari.
Nell'anticipazione di D (500 Lst.), che i capitalisti II fanno per l'acquisto delle altre parti dei mezzi di produzione, è anticipata la forma denaro della parte di IIc ancora esistente in forma merce (mezzi di consumo); nell'atto D-M, in cui II compra con D e I vende M, il denaro (II) si converte in una parte del capitale produttivo, mentre M (I) completa l'atto M-D, si converte in denaro, che però non rappresenta per I un elemento del valore capitale, ma plusvalore monetizzato, che viene speso soltanto in mezzi di consumo.
Nella circolazione D-M...P...M'-D', il primo atto D-M di un capitalista è l'ultimo M'-D' di un altro (o parte di esso); che questo M, mediante il quale D viene convertito in capitale produttivo, rappresenti per il venditore di M (che dunque converte questo M in denaro) l'elemento costante del capitale, l'elemento variabile del capitale, 0 il plusvalore, per la circolazione stessa delle merci è del tutto indifferente.
Per quanto riguarda la sezione I, in rapporto all'elemento v - p del suo prodotto merce, essa ritira dalla circolazione più denaro di quanto non vi abbia gettato. Prima, le ritornano le 1.000 Lst. di capitale variabile; poi, essa vende (vedi sopra, transazione nr. 4) per 500 Lst. mezzi di produzione, così monetizzando la metà del suo plusvalore; infine (transazione nr. 6) vende di nuovo per 500 Lst. mezzi di produzione, la seconda metà del suo plusvalore, e con ciò l'intero plusvalore è stato sottratto in forma denaro alla circolazione; dunque, successivamente, 1) riconvertito in denaro capitale variabile = 1.000 Lst.; 2) monetizzata la metà del plusvalore = 500 Lst.; 3) l'altra metà del plusvalore = 500 Lst.; quindi, somma: monetizzate 1.000v + 1.000p = 2.000 Lst. Benché I (prescindendo dalle circostanze da esaminare in seguito che mediano la riproduzione di Ic), abbia gettato in circolazione solo 1.000 Lst., gliene ha sottratte due volte tanto. Naturalmente il p monetizzato (convertito in denaro) sparisce di nuovo immediatamente in altra mano (II), in quanto questo denaro viene speso in mezzi di consumo. I capitalisti di I hanno sottratto in denaro solo quanto avevano gettato di valore in merce; che questo valore sia plusvalore, cioè non costi nulla al capitalista, non cambia assolutamente nulla al valore di queste merci; è dunque, nella misura in cui si tratta di scambio di valore nella circolazione delle merci, del tutto indifferente. Naturalmente la monetizzazione del plusvalore è transitoria, come tutte le altre forme che attraversa il capitale anticipato nelle sue transazioni. Essa dura esattamente solo quanto l'intervallo fra la conversione della merce I in denaro e la successiva conversione del denaro I in merce II.
Se si ammettessero rotazioni più brevi - o, considerando la cosa dall'angolo visuale della circolazione semplice delle merci, un più rapido giro del denaro circolante -, ancor meno denaro basterebbe per far circolare i valori merce scambiati; la somma è sempre determinata - se è dato il numero degli scambi successivi - dalla somma dei prezzi, rispettivamente dalla somma dei valori, delle merci circolanti. In quale proporzione questa somma di valore consista in plusvalore da un lato, e in valore capitale dall'altro, è qui del tutto indifferente.
Se, nel nostro esempio, il salario in I fosse pagato quattro volte nell'anno, avremmo 4 x 250 = 1.000. Dunque, 250 Lst. in denaro sarebbero sufficienti per la circolazione Iv = 1/2 IIC e per la circolazione fra il capitale variabile Iv e la forza lavoro I. Allo stesso modo, se la circolazione fra Ip e IIc avvenisse in quattro rotazioni, sarebbero necessarie soltanto 250 Lst., quindi in tutto una somma di denaro, rispettivamente un capitale denaro, di 500 Lst. per la circolazione di merci dell'ammontare di 5.000 Lst. Il plusvalore verrebbe allora monetizzato, anziché in due volte successive per la metà, in quattro volte successive per 1/4.
Se invece di II, nella transazione nr. 4, interviene come compratore I, quindi spende 500 Lst. di denaro in mezzi di consumo dello stesso ammontare di valore, allora nella transazione nr. 5, con le stesse 500 Lst., II compra mezzi di produzione; nella nr. 6, I compra mezzi di consumo con le stesse 500 Lst.; nella nr. I, Il compra con le stesse 500 Lst. mezzi di produzione; quindi, in definitiva, le 500 Lst. tornano a I, come prima a II. Il plusvalore viene qui monetizzato mediante denaro speso dai suoi stessi produttori capitalistici nel loro consumo privato, denaro che rappresenta reddito anticipato, entrata anticipata dal plusvalore racchiuso nella merce ancora da vendere. La monetizzazione del plusvalore non avviene attraverso il riflusso delle 500 Lst.; perché, accanto alle 1.000 Lst. in merce I», alla fine della transazione nr. 4 I ha gettato in circolazione denaro per 500 Lst., e questo era denaro addizionale; non - per quanto ne sappiamo - ricavato di merce venduta. Se questo denaro rifluisce a I, allora I ha così soltanto riottenuto il suo denaro addizionale, non monetizzato il suo plusvalore. La monetizzazione del plusvalore di I avviene soltanto grazie alla vendita delle merci IT in cui esso si annida, e dura ogni volta solo fin quando il denaro incassato dalla vendita della merce non è speso di nuovo in mezzi di consumo.
I compra da II mezzi di consumo con denaro addizionale (500 Lst.); il denaro è speso da I, che riceve per esso un equivalente in merce II; il denaro rifluisce la prima volta perché II compra merce da I per 500 Lst., dunque come equivalente della merce venduta da I, ma a I questa merce non costa nulla, quindi costituisce per I plusvalore, e così il denaro gettato in circolazione dallo stesso I monetizza il suo proprio plusvalore', analogamente, al suo secondo acquisto (nr. 6), I ha ricevuto il suo equivalente in merce II. Posto che ora II non compri da I (nr. I) mezzi di produzione, in realtà I avrebbe pagato mezzi di consumo per 1.000 Lst. - avrebbe consumato come reddito tutto il suo plusvalore -, cioè 500 nelle sue merci I (mezzi di produzione) e 500 in denaro; avrebbe ancora in magazzino 500 Lst. nelle sue merci I (mezzi di produzione) e si sarebbe invece sbarazzato di 500 Lst. in denaro.
Viceversa, II avrebbe riconvertito tre quarti del suo capitale costante dalla forma di capitale merce in capitale produttivo; un quarto invece nella forma di capitale denaro (500 Lst.), in realtà nella forma di denaro inutilizzato o che interrompe la sua funzione e rimane in attesa. Se questa situazione durasse più a lungo, II sarebbe costretto a ridurre di un quarto la scala della riproduzione.
Le 500 in mezzi di produzione, che I ha sulle spalle, non sono tuttavia plusvalore esistente in forma merce; occupano il posto delle 500 Lst. anticipate in denaro che I possedeva accanto al suo plusvalore di 1.000 Lst. in forma merce. Come denaro, esse si trovano in una forma sempre realizzabile; come merce, sono momentaneamente invendibili. Una cosa è chiara: qui la riproduzione semplice - in cui ogni elemento del capitale produttivo deve, in II come in I, essere sostituito - resta possibile soltanto se i 500 uccelli d'oro tornano a I, che per primo aveva dato loro il volo.
Se un capitalista (qui abbiamo ancora di fronte solo capitalisti industriali, che rappresentano al contempo tutti gli altri) spende denaro in mezzi di consumo, per lui esso è scomparso, è passato a miglior vita come ogni cosa quaggiù sulla terra. Se gli rifluisce, ciò può avvenire solo in quanto egli lo ripeschi dalla circolazione in cambio di merci; dunque, grazie al suo capitale merce. Come il valore di tutto il suo prodotto annuo in merci (che per lui è = capitale merce), così il valore di ognuno dei suoi elementi, cioè il valore di ogni singola merce, è per lui scomponibile in valore capitale costante, valore capitale variabile, e plusvalore. La monetizzazione di ognuna delle merci singole (che formano, come elementi, il prodotto in merci) è dunque nello stesso tempo monetizzazione di una certa quota del plusvalore racchiuso nell'intero prodotto merce. È dunque assolutamente esatto, nel caso dato, che il capitalista stesso ha gettato nella circolazione - e, precisamente, spendendolo in mezzi di consumo - il denaro con cui viene monetizzato, alias realizzato, il suo plusvalore. Non si tratta qui, naturalmente, di monete identiche, ma di un ammontare in denaro sonante pari a quello (o a parte eguale di quello) che aveva gettato in circolazione per soddisfare bisogni personali.
Nella pratica, ciò avviene in due modi: Se l'impresa è stata aperta solo nell'anno in corso, passa un bel po' di tempo, nel migliore dei casi qualche mese, prima che il capitalista possa spendere per il suo consumo personale denaro proveniente dalle entrate dell'impresa stessa. Ma non per questo egli sospende per un attimo il suo consumo: anticipa denaro a se stesso (se di tasca propria o, attraverso il credito, altrui, è qui del tutto indifferente) dal plusvalore che deve ancora ricavare, ma così anticipa anche medio circolante per la realizzazione di plusvalore da realizzare in seguito. Se invece l'impresa è in attività regolare già da qualche tempo, pagamenti ed entrate si distribuiscono su scadenze diverse nel corso dell'anno. Ma una cosa prosegue ininterrotta: il consumo del capitalista, che viene anticipato e la cui grandezza viene calcolata secondo una certa proporzione con l'entrata corrente o prevista. Con ogni porzione di merce venduta, si realizza anche una parte del plusvalore da ottenere nell'anno. Ma se, durante l'intera annata, non si vendesse della merce prodotta che lo stretto necessario per reintegrarla nei valori capitali costante e variabile in essa contenuti; o se i prezzi cadessero in modo che, vendendo l'intero prodotto merce annuo, si realizzasse soltanto il valore capitale anticipato ch'esso contiene, il carattere anticipatorio del denaro speso su plusvalore futuro apparirebbe in chiara luce. Qualora il nostro capitalista fallisse, i suoi creditori e il tribunale vaglierebbero se le sue spese private anticipate stanno in giusta proporzione con la grandezza dell'impresa e con il ricavo in plusvalore che usualmente o di norma vi corrisponde.
Riferita all'intera classe capitalistica, la tesi che essa deve gettare nella circolazione il denaro per la realizzazione del suo stesso plusvalore (rispettivamente, per la circolazione anche del suo capitale, costante e variabile), non solo non è paradossale, ma appare come necessaria condizione dell'intero meccanismo, perché qui non ci sono che due classi: la classe operaia, che dispone soltanto della sua forza lavoro; la classe capitalistica, che detiene il possesso monopolistico così dei mezzi di produzione sociali, come del denaro. Il paradosso si avrebbe se la classe operaia anticipasse in prima istanza dai suoi propri mezzi il denaro necessario alla realizzazione del plusvalore racchiuso nelle merci. Ma il capitalista singolo provvede a questo anticipo sempre soltanto nella forma per cui agisce come acquirente, spende denaro nell'acquisto di mezzi di consumo o anticipa denaro nella compera di elementi del suo capitale produttivo, sia di forza lavoro, sia di mezzi di produzione. Dà via il denaro sempre soltanto contro un equivalente. Anticipa alla circolazione denaro solo al modo stesso che le anticipa merce. Agisce in ambo i casi come punto di partenza della loro circolazione.
Due circostanze oscurano il processo reale:
1) La comparsa del capitale commerciale (la cui prima forma è sempre denaro, poiché il commerciante in quanto tale non crea nessun «prodotto» o «merce»), e del capitale denaro come oggetto della manipolazione di una particolare categoria di capitalisti, nel processo di circolazione del capitale industriale;
2) La divisione del plusvalore - che in prima istanza deve sempre trovarsi nelle mani del capitalista industriale - in diverse categorie, come esponenti delle quali, accanto al capitalista industriale, appaiono il proprietario fondiario (per la rendita fondiaria), l'usuraio (per l'interesse), ecc., e così pure il governo e i suoi funzionari, rentiers, e via dicendo. Questi signori si presentano di fronte al capitalista industriale come compratori e, in tale veste, come monetizzatori delle sue merci: prò parte, anch'essi gettano nella circolazione «denaro», ed egli lo riceve da loro. E qui si dimentica regolarmente da quale fonte l'hanno ricevuto in origine e sempre di nuovo lo ricevono.
Resta da considerare il capitale costante della sezione I = 4.000 lc. Questo valore è eguale al valore, che riappare nel prodotto merce I, dei mezzi di produzione consumati nel produrre questa massa di merci. Questo valore che riappare, che non è stato prodotto nel processo di produzione I, ma vi è entrato l'anno precedente come valore costante, come valore dato dei suoi mezzi di produzione, esiste ora in tutta la parte della massa di merci I non assorbita dalla categoria II; e precisamente, il valore di questa massa di merci, che così resta nelle mani dei capitalisti I, è = 2/3 del loro prodotto merce annuo totale. Nel caso del singolo capitalista, che produce un particolare mezzo di produzione, noi abbiamo potuto dire: egli vende il suo prodotto merce, lo converte in denaro; convertendolo in denaro, ha pure riconvertito in denaro la parte di valore costante del suo prodotto; con questa parte di valore convertita in denaro, riacquista da altri venditori di merci i propri mezzi di produzione, ovvero tramuta la parte di valore costante del suo prodotto in una forma naturale in cui può riprendere la sua funzione di capitale produttivo costante. Ora, invece, questo presupposto diventa impossibile. La classe capitalistica I abbraccia la totalità dei capitalisti produttori di mezzi di produzione. Inoltre, il prodotto merce di 4.000 rimasto nelle loro mani è una parte del prodotto sociale che non c'è verso di scambiare contro un'altra, perché una tale altra parte del prodotto annuo non esiste più. Eccettuate queste 4.000, si è già disposto di tutto il resto; una parte è assorbita dal fondo di consumo sociale, un'altra deve sostituire il capitale costante della sezione II, che ha già scambiato tutto ciò di cui poteva disporre nello scambio con la sezione I.
La difficoltà si risolve molto semplicemente, se si considera che l'intero prodotto merce I, per la sua forma naturale, consiste in mezzi di produzione, cioè negli elementi materiali dello stesso capitale costante. Si ritrova qui, ma sotto un altro aspetto, il medesimo fenomeno che, prima, sub II. L'intero prodotto merce, sub II, consisteva in mezzi di consumo; una parte di esso, misurata dal salario contenuto in questo prodotto merce più il plusvalore, poteva dunque essere consumata dai suoi stessi produttori. Sub I, invece, l'intero prodotto merce consta di mezzi di produzione, fabbricati, macchine, recipienti, materie prime ed ausiliarie, ecc. Una parte di essi, quella che sostituisce il capitale costante impiegato in questa sfera, può quindi riprendere immediatamente a funzionare nella sua forma naturale come elemento del capitale produttivo. In quanto entri in circolazione, circola all'interno della sezione I. Sub II, una parte del prodotto merce viene consumata individualmente in natura dai suoi stessi produttori; sub I, invece, una parte del prodotto è consumata produttivamente in natura dai suoi produttori capitalistici.
Nella parte del prodotto merce I = 4.000,, riappare il valore capitale costante consumato in questa sezione; e vi riappare in una forma naturale in cui può subito funzionare nuovamente come capitale produttivo costante. Sub II, la parte del prodotto merce di 3.000 il cui valore equivale al salario più il plusvalore (= 1.000) entra direttamente nel consumo individuale dei capitalisti e degli operai di II, mentre il valore capitale costante di questo prodotto merce (= 2.000) non può entrare di nuovo nel consumo produttivo dei capitalisti II, ma va sostituito mediante scambio con I.
Sub I, invece, la parte del suo prodotto merce di 6.000 il cui valore è eguale a salario più plusvalore (= 2.000) non entra nel consumo individuale dei suoi produttori, e, data la sua forma naturale, non lo può neppure. La si deve prima scambiare con II. La parte di valore costante di questo prodotto = 4.000 si trova per contro in una forma naturale in cui - se si considera l'intera classe capitalistica I - può riprendere direttamente a funzionare come suo capitale costante. In altri termini: l'intero prodotto della sezione I consta di valori d'uso che, per la loro forma naturale - sulla base del modo di produzione capitalistico -, possono servire unicamente come elementi del capitale costante. Perciò un terzo (2.000) di questo prodotto del valore di 6.000 sostituisce il capitale costante della sezione II, e i restanti 2/3 sostituiscono il capitale costante della sezione I.
Il capitale costante I si compone di una massa di gruppi diversi di capitale investiti nei diversi rami di produzione di mezzi di produzione, tanto in ferriere, tanto in miniere di carbone, ecc. Ciascuno di questi gruppi di capitale, o ciascuno di questi capitali sociali raggruppati, si compone a sua volta di una massa più o meno grande di capitali singoli, che funzionano in modo indipendente. Prima il capitale della società, per es. 7.500 (che possono significare milioni, ecc.), si scompone in gruppi diversi di capitale; il capitale sociale di 7.500 è suddiviso in particolari frazioni, ciascuna investita in un particolare settore produttivo; la frazione del valore capitale sociale investita in ogni particolare ramo di produzione consta, per la sua forma naturale, in parte dei mezzi di produzione di ogni particolare settore produttivo, in parte della forza lavoro necessaria al suo esercizio, corrispondentemente qualificata e variamente modificata dalla divisione del lavoro, a seconda del tipo specifico di lavoro che deve svolgere in ognuno dei singoli settori produttivi. La frazione del capitale sociale investita in ogni particolare ramo di produzione consiste a sua volta della somma dei singoli capitali in esso investiti e funzionanti in modo autonomo. Ciò vale, ovviamente, per entrambe le sezioni, per I come per II.
Per quanto riguarda, sub I, il valore capitale costante che riappare nella forma del suo prodotto merce, esso rientra in parte come mezzo di produzione nella particolare sfera produttiva (o perfino nelle imprese individuali) da cui esce come prodotto; per es. il grano nella produzione di grano, il carbone nella produzione di carbone, il ferro in forma di macchine nella produzione di ferro, e così via.
Nella misura però in cui i prodotti parziali di cui si compone il valore capitale costante di I non rientrano direttamente nella loro sfera di produzione particolare o individuale, essi si limitano a spostarsi nello spazio. Entrano in forma naturale in un'altra sfera di produzione della sezione I, mentre li sostituisce in natura il prodotto di altre sfere di produzione della sezione I. È un puro e semplice cambiamento di posto di questi prodotti. Essi rientrano tutti come fattori sostitutivi del capitale costante in I, ma, anziché in un gruppo di I, in un altro. Se qui si ha scambio fra i singoli capitalisti di I, è scambio di una forma naturale di capitale costante contro un'altra forma naturale di capitale costante, di un genere di mezzi di produzione contro altri generi di mezzi di produzione. È scambio reciproco delle diverse parti individuali di capitale costante di I. Nella misura in cui non servono direttamente come mezzi di produzione nei loro stessi rami di produzione, i prodotti vengono trasferiti dal loro luogo di produzione in un altro, e così si sostituiscono a vicenda. In altre parole (analogamente a quanto era avvenuto sub II per il plusvalore), ogni capitalista sub I, nella proporzione in cui è comproprietario di quel capitale costante di 4.000, estrae da questa massa di merci i mezzi di produzione corrispondenti a lui necessari. Se la produzione, invece d'essere capitalistica, fosse sociale, è chiaro che questi prodotti della sezione I sarebbero non meno costantemente ripartiti come mezzi di produzione, a scopo di riproduzione, fra i settori produttivi di questa sezione; una parte rimarrebbe direttamente nella sfera di produzione dalla quale è uscita come prodotto, un'altra verrebbe trasferita in altri luoghi di produzione, e così fra i diversi luoghi di produzione di questa sezione si avrebbe un continuo andirivieni.
Il valore totale dei mezzi di consumo prodotti annualmente è quindi eguale al valore capitale variabile II riprodotto durante l'anno più il plusvalore II prodotto ex novo (cioè, eguale al valore prodotto sub II nel corso dell'anno), più il valore capitale variabile I riprodotto durante l'anno e il plusvalore I prodotto ex novo (dunque, più il valore prodotto sub I nel corso dell'anno). Nell'ipotesi della riproduzione semplice, il valore totale dei mezzi di consumo prodotti annualmente è perciò eguale al valore prodotto ex novo durante l'anno, cioè all'intero valore prodotto durante l'anno dal lavoro sociale; e deve esserlo, poiché, in caso di riproduzione semplice, tutto questo valore viene consumato.
La giornata lavorativa sociale totale si divide in due parti: 1) lavoro necessario; esso crea nel corso dell'anno un valore di 1.500v; 2) pluslavoro; esso crea un valore addizionale, o plusvalore, di 1.500p.
La somma di questi valori, = 3.000, è eguale al valore dei mezzi di consumo prodotti annualmente, di 3.000. Il valore totale dei mezzi di consumo prodotti durante l'anno è perciò eguale al valore totale che la giornata lavorativa sociale totale produce nel corso dell'anno; eguale al valore del capitale variabile sociale più il plusvalore sociale; eguale al neo-prodotto totale annuo.
Ma noi sappiamo che, sebbene queste due grandezze di valore coincidano, non per questo il valore totale delle merci II, i mezzi di consumo, è stato prodotto in questa sezione della produzione sociale. Esse coincidono perché il valore capitale costante che riappare sub II è eguale al valore prodotto ex novo (valore capitale variabile più plusvalore) sub I: perciò I(v + p) può comprare la parte del prodotto di II che rappresenta per i suoi produttori (nella sezione II) valore capitale costante. Si vede quindi perché, sebbene per i capitalisti II il valore del loro prodotto si scomponga in c + v + p, dal punto di vista sociale il valore di questo prodotto sia scomponibile in v + p. Questo infatti è il caso soltanto perché II, è qui eguale a I(v + p), e questi due elementi del prodotto sociale, attraverso il loro scambio, si scambiano fra loro le proprie forme naturali, e quindi, dopo questa conversione, II, esiste di nuovo in mezzi di produzione, I(v + p) invece in mezzi di consumo.
Ed è questa circostanza che ha indotto A. Smith a sostenere che il valore del prodotto annuo si risolve in v + p. Ciò vale: (1 solo per la parte del prodotto annuo consistente in mezzi di consumo, e 2) vale non nel senso che questo valore totale sia prodotto in II e il suo valore in prodotti sia perciò eguale al valore capitale variabile anticipato sub II più il plusvalore prodotto sub II, ma solo nel senso che II(c + v + p) è = II(v + p) + I(v + p), ovvero perché IIC = I(v + p).
Ne segue inoltre:
Sebbene la giornata lavorativa sociale (cioè il lavoro speso durante tutto l'anno da tutta la classe lavoratrice), come ogni giornata lavorativa individuale, si suddivida soltanto in due parti, cioè in lavoro necessario e pluslavoro; sebbene quindi il valore prodotto da questa giornata lavorativa si suddivida parimenti solo in due parti, ossia il valore capitale variabile, cioè la parte di valore con cui l'operaio acquista i suoi propri mezzi di riproduzione, e il plusvalore, che il capitalista può spendere per il suo proprio individuale consumo, tuttavia, dal punto di vista della società, una parte della giornata lavorativa sociale viene spesa esclusivamente in produzione di capitale costante fresco, cioè di prodotti che sono esclusivamente destinati a funzionare nel processo di lavoro come mezzi di produzione, e quindi, nel processo di valorizzazione che lo accompagna, come capitale costante. In base alla nostra ipotesi, l'intera giornata lavorativa sociale si rappresenta in un valore denaro di 3.000, di cui soltanto 1/3 = 1.000 viene prodotto nella sezione II che produce mezzi di consumo, cioè le merci in cui si realizzano infine l'intero valore capitale variabile e l'intero plusvalore della società. Secondo questa ipotesi, dunque, — della giornata lavorativa sociale vengono impiegati nella produzione di nuovo capitale costante. Sebbene, dal punto di vista dei capitalisti e operai individuali della sezione I, questi 2/3 della giornata lavorativa sociale non servano che alla produzione di valore capitale variabile più plusvalore, esattamente come l'ultimo terzo della giornata lavorativa sociale nella sezione II, tuttavia questi 2/3 della giornata lavorativa sociale, dal punto di vista della società - e anche del valore d'uso del prodotto -, producono soltanto elementi sostitutivi del capitale costante impegnato o consumato nel processo del consumo produttivo.
Anche considerati individualmente, questi 2/3 della giornata lavorativa producono bensì un valore totale che è eguale soltanto al valore capitale variabile più il plusvalore per i suoi produttori, ma non producono valori d'uso tali che vi si possano spendere salario o plusvalore; il loro prodotto è un mezzo di produzione.
È da osservare in primo luogo che nessuna frazione della giornata lavorativa sociale, né sub I, né sub II, serve a produrre il valore del capitale costante impiegato in queste due grandi sfere di produzione e in esse funzionante. Esse producono soltanto valore addizionale, 2.000 I(v + p) + 1.000 II(v + p), in aggiunta al valore capitale costante = 4.000 Ic + 2.000 IIc. Il nuovo valore, che è stato prodotto in forma di mezzi di produzione, non è ancora capitale costante. Ha solo la destinazione di funzionare come tale in futuro.
Considerato secondo il suo valore d'uso, concretamente, nella sua forma naturale, l'intero prodotto di II - i mezzi di consumo - è prodotto del terzo della giornata lavorativa sociale fornito da II, è prodotto dei lavori nella loro forma concreta di lavoro di tessitore, lavoro di fornaio, ecc., che sono stati impiegati in questa sezione; di questo lavoro in quanto agisce come elemento soggettivo del processo lavorativo. Quanto invece alla parte di valore costante di questo prodotto II, esso riappare soltanto in un nuovo valore d'uso, in una nuova forma naturale, la forma di mezzi di consumo, mentre prima esisteva nella forma di mezzi di produzione. Il suo valore è stato dal processo di lavoro trasferito dalla sua vecchia forma naturale nella sua nuova forma naturale. Ma il valore di questi 2/3 del valore dei prodotti = 2.000 non è stato creato nel processo di valorizzazione di II svoltosi nel corso di quest'anno.
Esattamente come, dal punto di vista del processo di lavoro, il prodotto II è il risultato del lavoro vivo nuovamente in funzione e dei mezzi di produzione ad esso dati e presupposti, in cui esso si realizza come nelle sue condizioni oggettive, così, dal punto di vista del processo di valorizzazione, il valore dei prodotti II = 3.000 si compone del nuovo valore prodotto dalla terza parte della giornata lavorativa sociale aggiunta ex novo (500v + 500p = 1.000) e di un capitale costante in cui sono oggettivati i 2/3 di una giornata lavorativa sociale passata, trascorsa prima del qui considerato processo di produzione II. Questa parte di valore del prodotto II si rappresenta in una parte del prodotto stesso. Esiste in una quantità di mezzi di consumo del valore di 2.000 = 2/3 di una giornata lavorativa sociale. È questa la nuova forma d'uso in cui esso riappare. Lo scambio di una parte dei mezzi di consumo = 2.000 IIc contro mezzi di produzione I = I (1.000v + 1.000p) è dunque in realtà scambio di 2/3 di giornata lavorativa totale, che non costituiscono una frazione del lavoro di quest'anno, ma sono trascorsi prima di esso, con 2/3 della giornata lavorativa di quest'anno, aggiunti ex novo nel suo corso.
2/3 della giornata lavorativa sociale di quest'anno non potrebbero venire impiegati nella produzione di capitale costante, e tuttavia, nello stesso tempo, creare valore capitale variabile più plusvalore per i loro produttori, se non si dovessero scambiare contro una parte di valore dei mezzi di consumo annualmente consumati, in cui si annidano 2/3 di una giornata lavorativa spesa e realizzata prima di quest'anno, non nel suo corso. È scambio di 2/3 di giornata lavorativa di quest'anno contro 2/3 di giornata lavorativa spesa prima di quest'anno, scambio fra tempo di lavoro di quest'anno e tempo di lavoro di anni precedenti. Ciò spiega dunque il mistero per cui il valore prodotto dall'intera giornata lavorativa sociale può risolversi in valore capitale variabile più plus-valore, benché 2/3 di questa giornata lavorativa non siano stati spesi nella produzione di oggetti in cui possano realizzarsi capitale variabile o plusvalore, ma nella produzione di mezzi di produzione per sostituire il capitale consumato nel corso dell'anno.
La cosa si spiega facilmente col fatto che 2/3 del valore dei prodotti II, in cui capitalisti e operai I realizzano il valore capitale più il plusvalore da essi prodotti (e che costituiscono 2/9 dell'intero valore annuo dei prodotti), dal punto di vista del valore sono il prodotto di 2/3 di una giornata lavorativa sociale trascorsa prima di quest'anno.
La somma del prodotto sociale I e del prodotto sociale II, mezzi di produzione e mezzi di consumo, è bensì - considerato secondo il loro valore d'uso, concretamente, nella loro forma naturale - il prodotto del lavoro dell'anno in corso, ma nella sola misura in cui questo stesso lavoro viene considerato come lavoro utile, concreto, non nella misura in cui lo si considera come erogazione di forza lavoro, come lavoro creatore di valore. Ed è il primo anche soltanto nel senso che i mezzi di produzione si sono trasformati in nuovo prodotto, nel prodotto di quest'anno, solo grazie al lavoro vivo ad essi aggiunto e che li ha utilizzati. Inversamente, però, il lavoro di quest'anno non si sarebbe potuto convertire in prodotto, senza mezzi di produzione da esso indipendenti, senza mezzi di lavoro e materie di produzione.
Per quanto riguarda il valore totale dei prodotti di 9.000, e le categorie in cui esso si divide, la sua analisi non presenta difficoltà maggiori di quella del valore dei prodotti di un capitale singolo; anzi, le è identica.
Nell'intero prodotto sociale annuo sono qui contenute tre giornate lavorative sociali di un anno ciascuna. L'espressione di valore di ognuna di queste giornate lavorative è = 3.000; quindi, l'espressione di valore del prodotto totale è = 3 x 3.000 = 9.000.
Inoltre, prima del processo di produzione di un anno il cui prodotto esaminiamo, di questo tempo di lavoro sono trascorsi, nella sezione I, 4/3 di giornata lavorativa (valore prodotto 4.000) e, nella sezione II, 2/3 di giornata lavorativa (valore prodotto 2.000): totale, 2 giornate lavorative sociali, il valore del cui prodotto è = 6.000. Perciò 4.000 Ic + 2.000 IIC = 6.000c figurano come il valore dei mezzi di produzione, o come il valore capitale costante, che riappare nel valore totale dei prodotti della società.
Ancora: della giornata lavorativa annua sociale aggiunta ex novo, nella sezione I, 1/3 è lavoro necessario, o lavoro che reintegra il valore del capitale variabile 1.000 e paga il prezzo del lavoro impiegato sub I; allo stesso modo, in II, 1/6 della giornata lavorativa sociale è lavoro necessario per un ammontare di valore di 500. Dunque, 1.000 Iv+ 500 IIv = 1.500v, l'espressione di valore della mezza giornata lavorativa sociale, è l'espressione di valore della prima metà, consistente in lavoro necessario, della giornata lavorativa totale aggiunta nel corso di quest'anno.
Infine, sub I, 1/3 della giornata lavorativa totale, valore prodotto = 1.000, è pluslavoro; sub II, 1/6 della giornata lavorativa, valore prodotto = 500, è pluslavoro; insieme, essi formano l'altra metà della giornata lavorativa totale aggiunta. Il plusvalore totale prodotto è quindi = 1.000 Ip -f 500 IIp = 1.500p.
Perciò:
Parte di capitale costante del valore del prodotto sociale (c): 2 giornate lavorative spese prima del processo di produzione, espressione di valore = 6.000.
Lavoro necessario speso durante l'anno (v):
Mezza giornata lavorativa spesa nella produzione annua, espressione di valore = 1.500.
Pluslavoro speso durante l'anno (p):
Mezza giornata lavorativa spesa nella produzione annua, espressione di valore = 1.500.
Valore prodotto dal lavoro annuo (v + p) = 3.000. Valore totale dei prodotti (c + v+ p) = 9.000.
La difficoltà non risiede dunque nell'analisi del valore del prodotto sociale stesso. Essa sorge allorché si confrontano gli elementi di valore del prodotto sociale con i suoi elementi materiali.
La parte di valore costante, che si limita a riapparire, è eguale al valore della parte di questo prodotto consistente in mezzi di produzione, ed è incorporato in questa parte.
Il valore prodotto ex novo nell'anno = v + p è eguale al valore della parte di questo prodotto consistente in mezzi di consumo, ed è incorporato in essa.
Ma, con eccezioni qui irrilevanti, mezzi di produzione e mezzi di consumo sono specie di merci totalmente diverse, prodotti di forma naturale o d'uso completamente diversa, quindi anche prodotti di specie di lavoro concreto totalmente diverse. Il lavoro che impiega macchine per produrre mezzi di sussistenza è completamente diverso dal lavoro che costruisce macchine. L'intera giornata lavorativa totale annua, la cui espressione di valore è = 3.000, sembra spesa nella produzione di mezzi di consumo = 3.000, in cui non riappare nessuna parte di valore costante, perché questi 3.000 = 1.500v+ 1.500p si risolvono soltanto in valore capitale variabile + plusvalore. D'altro lato, il valore capitale costante = 6.000 riappare in ina specie di prodotti completamente diversa dai mezzi di consumo, i mezzi di produzione, sebbene nessuna parte della giornata lavorativa sociale sembri spesa nella produzione di questi nuovi prodotti; tutta questa giornata lavorativa appare composta di modi di lavoro che risultano non in mezzi di produzione, ma in mezzi di consumo. L'arcano è già risolto. Il valore prodotto dal lavoro annuo è eguale al valore dei prodotti della sezione II, al valore totale dei mezzi di consumo prodotti ex novo. Ma il valore di questi prodotti è di 2/3 maggiore della parte del lavoro annuo spesa nell'ambito della produzione di mezzi di consumo (sezione II): solo 1/3 del lavoro annuo è speso nella loro produzione; mentre 2/3 di esso sono spesi nella produzione di mezzi di produzione, dunque nella sezione I. Il valore prodotto durante questo tempo sub I, pari al valore capitale variabile più il plusvalore prodotti sub I, è eguale al valore capitale costante di II che riappare sub II in mezzi di consumo. Essi possono quindi scambiarsi e sostituirsi in natura l'un con l'altro. Il valore totale dei mezzi di consumo II è perciò eguale alla somma del valore prodotto ex novo sub I + II; ovvero IIi(c + v+ p) è = I(v + p) + II(v + p); è quindi eguale alla somma del neo-valore prodotto dal lavoro annuo in forma di v+p.
D'altra parte il valore totale dei mezzi di produzione (I) è eguale alla somma del valore capitale costante che riappare nella forma di mezzi di produzione (I) e di quello che riappare nella forma di mezzi di consumo (II): è quindi eguale alla somma del valore capitale costante che riappare nel prodotto totale della società. Questo valore totale è eguale all'espressione di valore di 4/3 di giornate lavorative trascorse prima del processo di produzione sub I e di — di giornate lavorative trascorse prima del processo di produzione sub II; dunque, insieme, di due giornate lavorative totali.
Perciò la difficoltà, nel caso del prodotto sociale annuo, nasce dal fatto che la parte di valore costante si rappresenta in un genere di prodotti - mezzi di produzione - completamente diverso da quello in cui si rappresenta il neo-valore v+p aggiunto a questa parte di valore costante, cioè mezzi di consumo.
Di qui l'apparenza che - dal punto di vista del valore della massa di prodotti consumata si ritrovino in una nuova forma, come neo-prodotto, senza che la società abbia speso alcun lavoro nella loro produzione. Ciò non avviene nel caso del capitale singolo. Ogni capitalista individuale impiega una determinata specie di lavoro concreto, che trasforma in un prodotto i suoi peculiari mezzi di produzione. Supponiamo per es. che il capitalista sia costruttore di macchine; che il capitale costante sborsato durante l'anno sia = 6.000c; il capitale variabile = 1.500v; il plusvalore = 1.500v; il prodotto, quindi, = 9.000, diciamo un prodotto di 18 macchine, di cui ognuna = 500. L'intero prodotto esiste qui nella stessa forma, la forma di macchine. (Se egli ne produce diversi tipi, ognuno viene calcolato a sé). L'intero prodotto merce è prodotto del lavoro speso durante l'anno nella costruzione di macchine, combinazione dello stesso genere di lavoro concreto con i medesimi mezzi di produzione. Le diverse frazioni del valore dei prodotti si rappresentano perciò nella stessa forma naturale: in 12 macchine si annidano 6.000c, in 3 macchine 1.500v, in 3 macchine 1.500p. Qui è chiaro che il valore delle 12 macchine è = 6.000c non perché in queste dodici macchine si materializzi soltanto lavoro trascorso prima della costruzione di macchine e non speso in essa. Il valore dei mezzi di produzione per 18 macchine non si è convertito da sé in 12 macchine, ma il valore di queste 12 macchine (consistente in 4.000c; + 1.000v+ 1.000p) è eguale al valore totale del valore capitale costante contenuto nelle 18 macchine. Il costruttore di macchine deve quindi vendere 12 delle 18 macchine per reintegrare il capitale costante sborsato, di cui ha bisogno per la riproduzione di 18 nuove macchine. La cosa sarebbe invece inspiegabile se, pur non consistendo il lavoro impiegato che in costruzione di macchine, si avessero come suo risultato, da una parte, 6 macchine = 1.500v+ 1.500p, dall'altra ferro, rame, bulloni, cinghie, ecc. per un valore di 6.000c, cioè i mezzi di produzione delle macchine nella loro forma naturale, che notoriamente il singolo capitalista costruttore di macchine non produce egli stesso, ma deve farsele sostituire dal processo di circolazione. E tuttavia, a prima vista, la riproduzione del prodotto sociale annuo sembra compiersi in un modo così assurdo.
Il prodotto del capitale individuale, cioè di ogni frazione, funzionante in modo autonomo, dotata di vita propria, del capitale sociale, ha una forma naturale qualsivoglia. L'unica condizione è che esso abbia veramente una forma d'uso, un valore d'uso che gli imprima il suggello di membro atto a circolare del mondo delle merci. Che esso possa entrare di nuovo, come mezzo di produzione, nel medesimo processo di produzione dal quale esce come prodotto; che quindi la parte del valore dei suoi prodotti in cui si rappresenta la parte costante del capitale possieda una forma naturale che gli permette di riprendere effettivamente la sua funzione di capitale costante, è del tutto indifferente e casuale: se non possiede tale forma, questa parte del valore dei prodotti verrà riconvertita nella forma dei suoi elementi materiali di produzione mediante vendita e compera, e così il capitale costante sarà riprodotto nella sua forma naturale, atta ad entrare in funzione.
Diversamente stanno le cose per il prodotto del capitale sociale totale. Tutti gli elementi materiali della riproduzione devono far parte nella loro forma naturale di questo stesso prodotto. La parte di capitale costante consumata può essere sostituita dalla produzione totale solo in quanto l'intera parte di capitale costante che ricompare nel prodotto vi ricompaia nella forma naturale di nuovi mezzi di produzione, tali da poter realmente funzionare come capitale costante. Nell'ipotesi della riproduzione semplice, quindi, il valore della parte del prodotto consistente in mezzi di produzione deve essere eguale alla parte di valore costante del capitale sociale.
Inoltre: dal punto di vista individuale, il capitalista produce nel valore dei suoi prodotti, mediante il lavoro aggiunto ex novo, solo il suo capitale variabile più il plusvalore, mentre la parte di valore costante è trasferita al prodotto grazie al carattere concreto del lavoro aggiunto ex novo.
Dal punto di vista della società, la frazione della giornata lavorativa sociale che produce mezzi di produzione e, quindi, aggiunge loro nuovo valore così come trasferisce ad essi il valore dei mezzi di produzione consumati nel produrli, non produce altro che nuovo capitale costante, destinato a sostituire il capitale costante consumato, nella forma dei vecchi mezzi di produzione, sub I come sub II. Produce soltanto prodotto destinato ad entrare nel consumo produttivo. L'intero valore di questo prodotto è quindi soltanto valore atto a funzionare di nuovo come capitale costante, che può solo riacquistare capitale costante nella sua forma naturale, e che quindi, dal punto di vista della società, non si risolve né in capitale variabile, né in plusvalore. - D'altro lato, la frazione della giornata lavorativa sociale che produce mezzi di consumo non produce nessuna parte del capitale sociale di sostituzione: produce soltanto prodotti destinati nella loro forma naturale a realizzare il valore del capitale variabile e il plusvalore sub I e sub II.
Quando si parla di punto di vista della società, quando perciò si considera il prodotto sociale totale, che comprende sia la riproduzione del capitale sociale, sia il consumo individuale, non bisogna cadere nel vezzo dell'economia borghese, scimmiottato da Proudhon, e ragionare come se una società a modo di produzione capitalistico, considerata en bloc, come totalità, perdesse questo suo carattere specifico, storicamente economico. Al contrario: si ha allora a che fare con il capitalista collettivo. Il capitale totale appare come capitale azionario di tutti i capitalisti individuali presi assieme. Questa società per azioni ha in comune con molte altre società per azioni il fatto che ciascuno sa che cosa vi immette, ma non che cosa ne estrarrà.
Il valore totale del prodotto sociale ammonta a 9.000 = = 6.000c + 1.500v + 1.500p. In altre parole: 6.000 riproducono il valore dei mezzi di produzione e 3.000 il valore dei mezzi di consumo. Il valore del reddito sociale (v + p) non ammonta quindi che a 1/3 del valore totale dei prodotti, e la totalità dei consumatori, operai come capitalisti, non può sottrarre merci, prodotti, al prodotto totale sociale e incorporarli nel proprio fondo di consumo che per l'importo di valore di questo terzo.
6.000 = 2/3 del valore dei prodotti sono invece il valore del capitale costante che dev'essere sostituito in natura. Ne segue che mezzi di produzione per quest'ammontare vanno reincorporati nel fondo di produzione. È di questo che Storch intuisce la necessità, senza poterla dimostrare:
«Il est clair que la valeur du produit annuel se distribue partie en capitaux et partie en profits, et que chacune de ces parties de la valeur du produit annuel va régulièrement acheter les produits dont la nation a besoin, tant pour entretenir son capital que pour remplacer son fonds consommable... Les produits qui constituent le capital d'une nation, ne sont point consommables». (Storch, Considérations sur la nature du revenu national, Parigi, 1824, pp. 134-135, 150)
A. Smith, tuttavia, ha sostenuto questo fantastico dogma, al quale tuttora si presta fede, non solo nella forma già citata, secondo cui il valore sociale totale dei prodotti si risolve in reddito, in salario più plusvalore, o, come egli si esprime, in salario, più profitto (interesse), più rendita fondiaria; ma nella forma ancor più popolare che i consumatori debbano, in ultima istanza (ultimately), pagare ai produttori l'intero valore dei prodotti. È questo, fino al giorno d'oggi, uno dei luoghi comuni più accreditati, o meglio una delle verità eterne della cosiddetta scienza dell'economia politica, e la si illustra nel seguente modo plausibile: Si prenda un articolo qualunque, per es. camicie di lino. Prima, il filatore deve pagare al coltivatore di lino l'intero valore del lino, quindi semi, concime, foraggio per il bestiame da lavoro, ecc., oltre alla parte di valore che il capitale fisso del linicultore, come edifici, attrezzi agricoli, ecc., cede a questo prodotto; il salario pagato nella produzione del lino; il plusvalore (profitto, rendita fondiaria) racchiuso nel lino; infine, le spese di trasporto del lino dal luogo di produzione alla filatura. Poi il tessitore deve restituire al filatore non solo questo prezzo del lino, ma anche la parte di valore del macchinario, dei fabbricati, ecc., insomma del capitale fisso, che viene trasmessa al lino, e, inoltre, tutte le materie ausiliarie consumate durante il processo di filatura, il salario del filatore, il plusvalore, ecc., e così via discorrendo per il candeggiatore, per le spese di trasporto della tela finita, infine per il fabbricante di camicie, il quale ha pagato l'intero prezzo di tutti i produttori precedenti, che si sono limitati a fornirgli la materia prima. Nelle sue mani si verifica poi un'ulteriore aggiunta di valore, sia mediante il valore del capitale costante consumato nella forma di mezzi di lavoro, materie ausiliarie ecc. nella fabbricazione di camicie, sia mediante il lavoro in essa speso, che aggiunge il valore del salario dei camiciai più il plusvalore del fabbricante di camicie. Poniamo che, alla fine, tutte le camicie prodotte costino 100 Lst. e che sia questa la parte dell'intero valore annuo dei prodotti che la società spende in camicie. I consumatori delle camicie pagano le 100 Lst., dunque il valore di tutti i mezzi di produzione contenuti nelle camicie, come pure il salario, più il plusvalore del coltivatore di lino, del filatore, del tessitore, del candeggiatore, del fabbricante di camicie e di tutti i trasportatori. Ciò è perfettamente giusto. In realtà, è quanto ogni bambino vede. Ma poi si dice, proseguendo: Così accade per il valore di ogni altra merce. Mentre si dovrebbe dire: Così accade per il valore di ogni mezzo di consumo, per il valore della parte di prodotto sociale che entra nel fondo di consumo, quindi per la parte del valore del prodotto sociale che può essere spesa come reddito. La somma di valore di tutte queste merci è senza dubbio eguale al valore di tutti i mezzi di produzione (parti costanti del capitale) consumati in esse, più il valore creato dal lavoro da ultimo aggiunto (salario più plusvalore). La totalità dei consumatori può quindi pagare tutta questa somma di valore, perché è vero che il valore di ogni singola merce consta di c + v + p, ma la somma di valore di tutte le merci che entrano nel fondo di consumo, prese assieme, può, al massimo, essere eguale solo alla parte del valore del prodotto sociale che si risolve in v + p, cioè al valore che il lavoro speso durante l'anno ha aggiunto ai mezzi di produzione già trovati pronti - al valore capitale costante. Per quanto invece concerne il valore capitale costante, abbiamo visto che esso viene sostituito, attingendo alla massa del prodotto sociale, in duplice maniera. Primo, mediante scambio dei capitalisti II, che producono mezzi di consumo, con i capitalisti I, che producono i mezzi di produzione a tale scopo. Ed è qui la sorgente della frase secondo cui ciò che per l'uno è capitale, per l'altro è reddito. Ma le cose non stanno così. I 2.000 IIc, che esistono in mezzi di consumo per il valore di 2.000, formano per la classe di capitalisti II valore capitale costante. Essi stessi non possono quindi consumarli, benché il prodotto per la sua forma naturale debba essere consumato. D'altra parte i 2.000 I(c + p) sono salario più plusvalore prodotto dalla classe di capitalisti ed operai I: esistono nella forma naturale di mezzi di produzione, di cose in cui il loro proprio valore non può essere consumato. Qui abbiamo perciò una somma di valore di 4.000, della quale, sia prima che dopo lo scambio, una metà sostituisce solo capitale costante e una metà forma soltanto reddito. - Ma, in secondo luogo, il capitale costante della sezione I viene sostituito in natura, parte mediante scambio fra i capitalisti I, parte mediante sostituzione in natura in ogni singola impresa.
La frase secondo cui l'intero valore annuo dei prodotti dev'essere in ultima istanza pagato dai consumatori, sarebbe giusta soltanto se nei consumatori si includessero due categorie del tutto diverse, consumatori individuali e consumatori produttivi. Ma che una parte del prodotto debba essere consumata produttivamente, non significa se non che essa deve funzionare come capitale e non può essere consumata come reddito.
Se suddividiamo il valore del prodotto totale = 9.000 in 6.000c + 1.500v+ 1.50p,, e consideriamo i 3.000(v + p) unicamente nella loro qualità di reddito, il capitale variabile sembra viceversa scomparire, e il capitale, considerato dal punto di vista della società, non consistere che di capitale costante. Infatti, ciò che in origine appariva come 1.500v, si è risolto in una parte del reddito sociale, in salario, reddito della classe operaia, e con ciò il suo carattere di capitale è scomparso. In realtà, questa conclusione viene tratta da Ramsay. Secondo lui, dal punto di vista della società il capitale non consiste che di capitale fisso, ma per capitale fisso egli intende capitale costante, la massa di valore esistente in mezzi di produzione, siano essi mezzi di lavoro o materiale di lavoro, come materie prime, materie ausiliarie, semilavorati, ecc. Egli chiama circolante il capitale variabile:
«Circulating capital consists only of subsistence and other necessaries advanced to the workmen, -previous to the completion of the produce of their labour... Fixed capital alone, not circulating, is properly speaking a source of national wealth... Circulating capital is not an immediate agent in production, nor essential to it at all, but merely a convenience rendered necessary by the deplorable poverty of the mass of the people... Fixed capital alone constitutes an element of cost of production in a national point of view». (Ramsay, op. cit., pp. 23-26 passim)
Ramsay chiarisce meglio come segue il suo concetto di capitale fisso, intendendo con ciò capitale costante:
«The length of time during wich any portion of the product of that labour» (cioè labour bestowed on any commodity) «has existed as fixed capital, i.e. in a form in which, though assisting to raise the future commodity, it does not maintain labourers» (p. 59)I.
Qui si vede nuovamente tutto il male fatto da A. Smith annegando la distinzione fra capitale costante e variabile nella distinzione far capitale fisso e circolante. Il capitale costante di Ramsay si compone di mezzi di lavoro, il suo capitale circolante di mezzi di sussistenza; entrambi sono merci di valore dato; gli uni non possono produrre plusvalore più che gli altri.
L'intera riproduzione annua, l'intero prodotto di quest'anno, è il prodotto del lavoro utile di questo stesso anno. Ma il valore di questo prodotto totale è maggiore della sua parte di valore in cui si materializza il lavoro annuo, come forza lavoro spesa durante l'anno. Il valore prodotto in quest'anno, il valore creato ex novo nel suo corso in forma merce, è minore del valore dei prodotti, del valore totale della massa di merci prodotte durante tutto l'anno. La differenza, che si ottiene sottraendo dal valore totale del prodotto annuo il valore che gli è stato aggiunto dal lavoro dell'anno in corso, non è valore realmente riprodotto, ma soltanto valore che riappare in nuova forma di esistenza; valore trasferito nel prodotto annuo da valore che gli preesisteva e che, secondo la durata degli elementi costanti del capitale che hanno cooperato al processo di lavoro sociale di quest'anno, può essere di data più o meno recente, cioè derivare dal valore di un mezzo di produzione venuto alla luce nell'anno precedente o in una serie di anni passati. È, in ogni caso, valore trasmesso da mezzi di produzione di anni trascorsi al prodotto dell'anno corrente.
Se prendiamo il nostro schema, abbiamo, dopo scambio degli elementi finora considerati fra I e II e all'interno di II:
I. 4.000c+ 1.000v +1.000p (gli ultimi 2.000 realizzati in mezzi di consumo IIc) = 6.000.
II. 2.000c (riprodotti mediante scambio con I(v + p)) + 500v+ 500p = 3.000.
Somma di valore: 9.000.
Il valore prodotto ex novo durante l'anno è racchiuso soltanto in v e p. La somma del valore prodotto quest'anno è quindi eguale alla somma di v + p = 2.000 I(v + p) + 1.000 II(v + p) = 3.000. Tutte le altre parti di valore del valore dei prodotti di quest'anno non sono che valore trasmesso del valore di mezzi di produzione preesistenti, consumati nella produzione annua. Oltre al valore di 3.000, il lavoro dell'anno in corso non ha prodotto nulla in valore; è quello tutto il valore da esso prodotto nell'anno.
Ma, come si è visto, i 2.000 I(v + p) sostituiscono alla sezione II i suoi 2.000 IIc nella forma naturale di mezzi di produzione. Due terzi del lavoro annuo speso nella sezione I hanno quindi prodotto ex novo il capitale costante II, sia tutto il suo valore, sia la sua forma naturale. Dal punto di vista della società, due terzi del lavoro speso durante l'anno hanno perciò creato un nuovo valore capitale costante, realizzato nella forma naturale adatta alla sezione II. Dunque, la maggior parte del lavoro sociale annuo è stata spesa nella produzione di nuovo capitale costante (valore capitale esistente in mezzi di produzione) per sostituire il valore capitale costante speso nella produzione di mezzi di consumo. Ciò che qui distingue la società capitalistica dal selvaggio, non è, come crede Senior («Quando il selvaggio fabbrica un arco, esercita bensì un'industria, ma non pratica l'astinenza». (Senior, Principes fondamentaux de l'Écon. Poi., trad. Arrivabene, Parigi, 1836, pp. 342-343). «Più la società progredisce, più esige astinenza». (Ibid., p. 342). Cfr. Das Kapital, libro I, cap. XXII, 3, p. 619), il fatto che sia privilegio e peculiarità del selvaggio spendere il proprio lavoro in un certo tempo che non gli procura frutti risolvibili (convertibili) in reddito, cioè in mezzi di consumo; la differenza consiste in ciò che:
a) La società capitalistica impiega una parte maggiore del suo lavoro annuo disponibile nella produzione di mezzi di produzione (ergo di capitale costante), che non sono risolvibili in reddito né sotto la forma del salario né sotto quella del plusvalore, ma possono fungere soltanto da capitale.
b) Quando il selvaggio costruisce archi, frecce, martelli di selce, asce, ceste ecc., sa perfettamente di non aver impiegato il tempo così speso nella produzione di mezzi di consumo; dunque, sa anche di aver coperto il proprio fabbisogno in mezzi di produzione e nulla più. Inoltre, il selvaggio commette un grave peccato economico con la sua totale indifferenza per il tempo buttato via, e spesso, per es., come racconta Tylor (E. B. Tyler, Forschungen über die Urgeschichte der Menschheit, trad. H. Müiller, Lipsia, s. d., p. 240 II) impiega tutto un mese per approntare una freccia.
L'opinione corrente, con cui una parte degli economisti cerca di sbarazzarsi della difficoltà teorica, cioè della comprensione del nesso reale - l'opinione che ciò che per uno è capitale, per l'altro è reddito, e viceversa -, è parzialmente giusta, ma diventa completamente sbagliata (contiene perciò una totale incomprensione dell'intero processo di scambio che si svolge nella riproduzione annua, quindi anche un'incomprensione del fondamento reale di ciò che è parzialmente giusto), non appena la si generalizzi.
Riassumiamo ora i rapporti effettivi sui quali poggia la parziale giustezza di questa opinione, con il che si mostrerà, nello stesso tempo, il modo errato d'intendere tali rapporti.
1) Il capitale variabile funziona come capitale in mano al capitalista e come reddito in mano all'operaio salariato.
Il capitale variabile esiste dapprima in mano al capitalista come capitale denaro', funziona come capitale denaro in quanto, con esso, egli compra forza lavoro. Finché indugia nelle sue mani in forma denaro, non è che valore dato esistente in forma denaro; quindi una grandezza costante, non una grandezza variabile. È capitale variabile solo in potenza - appunto per la sua convertibilità in forza lavoro. Capitale variabile vero e proprio esso diventa solo dopo essersi spogliato della sua forma denaro, dopo essersi convertito in forza lavoro, e dopo che questa ha funzionato, come elemento del capitale produttivo, nel processo capitalistico.
Il denaro, che in origine funzionava per il capitalista come forma denaro del capitale variabile, in mano all'operaio funziona ora come forma denaro del salario, che egli converte in mezzi di sussistenza; dunque, come forma denaro del reddito che egli ricava dalla vendita sempre ripetuta della propria forza lavoro.
Qui abbiamo soltanto il semplice fatto che il denaro del compratore, in questo caso il capitalista, passa dalle sue mani in quelle del venditore, in questo caso il venditore della forza lavoro, l'operaio. Non è il capitale variabile ad assolvere due funzioni, di capitale per il capitalista e di reddito per l'operaio; è lo stesso denaro ad esistere prima in mano al capitalista come forma denaro del suo capitale variabile, quindi come capitale variabile potenziale, e, non appena il capitalista l'abbia convertito in forza lavoro, a servire in mano all'operaio come equivalente della forza lavoro venduta. Ma che lo stesso denaro in mano al venditore serva a un impiego utile diverso che in mano al compratore, è un fenomeno proprio di ogni compravendita di merci.
Gli economisti apologetici presentano la cosa in modo errato, come risulta con la massima chiarezza se concentriamo la nostra attenzione esclusivamente sull'atto di circolazione D-L (= D-M), conversione di denaro in iorza lavoro dal lato del compratore capitalistico, e L-D (= M-D), conversione della merce forza lavoro in denaro dal lato del venditore, l'operaio, senza curarci per il momento di quanto avverrà dopo. Essi dicono: qui lo stesso denaro realizza due capitali; il compratore - capitalista - converte il suo capitale denaro in forza lavoro viva, che incorpora nel suo capitale produttivo; d'altra parte, il venditore - operaio - converte la sua merce - la forza lavoro - in denaro che spende come reddito; il che lo mette in grado di rivendere sempre di nuovo, e così conservare, la sua forza lavoro; dunque, la sua forza lavoro è essa stessa il suo capitale in forma merce, dal quale sgorga costantemente il suo reddito. In realtà, la forza lavoro è il suo patrimonio (sempre rinnovantesi, riproduttivo), non il suo capitale. È l'unica merce che egli possa e, per vivere, debba costantemente vendere, e che agisce come capitale (variabile) solo in mano al compratore, il capitalista. Il fatto che un uomo sia costantemente costretto a vendere sempre di nuovo la propria forza lavoro, cioè se stesso, ad un terzo, secondo quegli economisti dimostra che è un capitalista, perché ha sempre «merce» (se stesso) da vendere. In questo senso, anche lo schiavo diventa capitalista, sebbene venga comprato da un terzo, una volta per tutte, come merce; infatti, la natura di questa merce - lo schiavo da lavoro - implica che il suo compratore non solo la faccia lavorare ogni giorno di nuovo, ma le dia i mezzi di sussistenza che le permettono di lavorare sempre di nuovo. (Confrontare, su questo punto, Sismondi e Say nelle lettere a Malthus)».
2) Nello scambio di 1.000 Iv + 1.000 Ip contro 2.000 IIc, ciò che è capitale costante (2.000 IIc) per gli uni, diventa per gli altri capitale variabile e plusvalore, quindi, in generale, reddito; e ciò che per gli uni è capitale variabile e plusvalore (2.000 I(v + p)), quindi, in generale, reddito, diventa per gli altri capitale costante.
Consideriamo anzitutto lo scambio di Iv contro IIc; e in primo luogo dal punto di vista dell'operaio.
L'operaio complessivo di I ha venduto la sua forza lavoro al capitalista complessivo di I per 1.000; questo valore gli viene pagato in denaro nella forma del salario. Con questo denaro egli acquista da II mezzi di consumo per lo stesso ammontare. Il capitalista II gli sta di fronte soltanto come venditore di merci e nulla più, anche quando l'operaio compra dal suo proprio capitalista, come, per es., sopra nello scambio dei 500 IIv. La forma di circolazione attraverso la quale passa la sua merce, la forza lavoro, è quella della circolazione semplice delle merci, puramente diretta al soddisfacimento di bisogni, al consumo: M (forza lavoro) - D-M (mezzi di consumo, merce II). Risultato di questo processo di circolazione è che l'operaio si è conservato come forza lavoro per il capitalista I e, per conservarsi ulteriormente come tale, deve ripetere sempre di nuovo il processo L (M)-D-M. Il suo salario si realizza in mezzi di consumo, viene speso come reddito e, prendendo la classe operaia nel suo insieme, speso costantemente di nuovo come reddito.
Consideriamo ora lo stesso scambio di Iv contro IIc dal punto di vista del capitalista. L'intero prodotto merce di II consta di mezzi di consumo; dunque, di cose destinate ad entrare nel consumo annuo, quindi a servire alla realizzazione di reddito per qualcuno; nel caso qui considerato, per l'operaio complessivo di I. Ma, per il capitalista complessivo di II, una parte del suo prodotto merce = 2.000 è ora la forma tramutata in merce del valore capitale costante del suo capitale produttivo, che da questa forma merce dev'essere riconvertito nella forma naturale in cui può operare di nuovo come parte costante del capitale produttivo. Quanto ha finora ottenuto il capitalista II, è di aver riconvertito in forma denaro, mediante vendita all'operaio I, la metà (= 1.000) del suo valore capitale costante riprodotto in forma merce (mezzi di consumo). Non è dunque anche il capitale variabile Iv che si è convertito in questa prima metà del valore capitale costante IIc, ma il denaro, che per I fungeva da capitale denaro nello scambio contro forza lavoro, è così venuto in possesso del venditore della forza lavoro, per il quale non rappresenta capitale, ma reddito in forma denaro, cioè viene speso come mezzo di acquisto di articoli di consumo. Il denaro = 1.000 affluito al capitalista II dagli operai I non può, d'altra parte, funzionare come elemento costante del capitale produttivo II. È ancora soltanto la forma denaro del suo capitale merce, che resta da convertire in elementi fissi o circolanti di capitale costante. Dunque, con il denaro ricevuto dagli operai I, acquirenti della sua merce, II compra per 1.000 mezzi di produzione da I. Con ciò il valore capitale costante II è rinnovato, per la metà dell'importo complessivo, nella forma naturale in cui può funzionare di nuovo come elemento del capitale produttivo II. La forma di circolazione è stata M-D-M: mezzi di consumo per il valore di 1.000 - denaro = 1.000 - mezzi di produzione per il valore di 1.000.
Ma qui M-D-M è movimento di capitale. M, venduto agli operai, si converte in D, e questo D viene convertito in mezzi di produzione; è riconversione da merce negli elementi costitutivi materiali di questa merce. D'altra parte, qui, come il capitalista II funziona nei confronti di I soltanto come compratore di merce, così il capitalista I funziona nei confronti di II soltanto come venditore di merce. Con 1.000 di denaro destinato a fungere da capitale variabile, I ha acquistato in origine forza lavoro per il valore di 1.000; quindi, ha ricevuto un equivalente per i suoi1.000, ceduti in forma denaro; il denaro ora appartiene all'operaio, che lo spende in compere da II; I può riottenere il denaro così affluito nella cassa di II solo ripescandolo mediante vendita di merce per lo stesso ammontare di valore.
Prima, I aveva una determinata somma di denaro = 1.000, destinata a funzionare come parte variabile del capitale; essa funziona come tale grazie alla sua conversione in forza lavoro per lo stesso ammontare di valore. Ma l'operaio, come risultato del processo di produzione, gli ha fornito una massa di merci (mezzi di produzione) per un valore di 6.000, di cui 1/6, ovvero 1.000, secondo il loro valore, costituiscono un equivalente della parte variabile di capitale anticipata in denaro. Nella sua forma merce, il valore capitale variabile non funziona ora come capitale variabile più che, prima, in forma denaro; lo può solo dopo che si sia convertito in forza lavoro viva, e solo finché questa operi nel processo di produzione. Come denaro, il valore capitale variabile era capitale variabile soltanto potenziale. Ma si trovava in una forma in cui era direttamente convertibile in forza lavoro. Come merce, questo stesso valore capitale variabile è ancora soltanto valore monetario potenziale; viene riprodotto nella sua originaria forma denaro solo grazie alla vendita della merce: qui, dunque, per il fatto che II compra merce per 1.000 da I. Il movimento di circolazione è qui: 1.000v (denaro) - forza lavoro per il valore di 1.000 - 1.000 in merce (equivalente del capitale variabile) - 1.000v (denaro); quindi, D-M...M-D (= D-L...M-D). Il processo di produzione svolgentesi fra M...M non appartiene esso stesso alla sfera di circolazione; non appare nello scambio reciproco dei diversi elementi della riproduzione annua, sebbene questo scambio comprenda la riproduzione di tutti gli elementi del capitale produttivo, sia del suo elemento costante, sia dell'elemento variabile, la forza lavoro. Tutti gli agenti di questo scambio appaiono soltanto come compratori o venditori, o come ambedue le cose; gli operai vi figurano solo come venditori di merce; i capitalisti, alternativamente, come compratori e venditori e, entro certi limiti, solo come compratori unilaterali di merce o come venditori unilaterali di merce.
Risultato: I possiede di nuovo la parte variabile di valore del suo capitale nella forma denaro dalla quale soltanto è direttamente convertibile in forza lavoro, cioè la possiede di nuovo nell'unica forma in cui può essere effettivamente anticipata come elemento variabile del suo capitale produttivo. D'altro lato, per potersi presentare di nuovo come compratore di merce, l'operaio deve prima intervenire di nuovo come venditore di merce, come venditore della sua forza lavoro.
Rispetto al capitale variabile della sezione II (500 IIc), il processo di circolazione fra capitalisti e operai dello stesso settore di produzione, in quanto lo consideriamo come svolgentesi fra il capitalista complessivo II e l'operaio complessivo II, si presenta in forma non mediata.
Il capitalista complessivo II anticipa 500, nell'acquisto di forza lavoro per lo stesso ammontare di valore; il capitalista complessivo è qui compratore, l'operaio complessivo venditore. Poi, col denaro ottenuto per la sua forza lavoro, l'operaio interviene come acquirente di una parte delle merci da lui stesso prodotte. Qui, dunque, il capitalista è venditore. L'operaio ha reintegrato al capitalista, con una parte del capitale merce prodotto II, cioè 500«in merce, il denaro versatogli nell'acquisto della sua forza lavoro; il capitalista possiede ora in forma merce lo stesso v che possedeva in forma denaro prima della conversione in forza lavoro; d'altra parte, l'operaio ha realizzato in denaro il valore della sua forza lavoro, e adesso realizza di nuovo questo denaro, per provvedere al suo consumo, spendendolo come reddito nell'acquisto di una parte dei mezzi di consumo che egli stesso ha prodotto. È scambio del reddito in denaro dell'operaio contro l'elemento merce del capitalista 500v, da lui stesso riprodotto in forma merce. Così questo denaro ritorna al capitalista II come forma denaro del suo capitale variabile: un valore di reddito equivalente in forma denaro sostituisce qui un valore capitale variabile in forma merce.
Il capitalista non si arricchisce per il fatto di sottrarre nuovamente all'operaio, vendendogli una massa equivalente di merci, il denaro che gli paga nel comprare la sua forza lavoro. In realtà, pagherebbe due volte l'operaio se prima gli versasse 500 nell'acquisto della sua forza lavoro e, in più, gli desse gratis la massa di merci per un valore di 500 che ha fatto produrre all'operaio. Viceversa, se l'operaio non gli producesse che un equivalente in merce di 500 per il prezzo della sua forza lavoro di 500, dopo l'operazione il capitalista si troverebbe esattamente allo stesso punto di prima. Ma l'operaio ha riprodotto un prodotto di 3.000; ha conservato la parte di valore costante del prodotto, cioè il valore dei mezzi di produzione ivi consumati = 2.000, convertendoli in nuovo prodotto; ha inoltre aggiunto a questo valore dato un valore di 1.000(v + p). (L'idea che il capitalista si arricchisca nel senso di guadagnare plusvalore mediante il riflusso dei 500 in denaro, è sviluppata da Destutt de Tracy; vedi a questo proposito il paragrafo XIII del presente capitolo).
Mediante l'acquisto dei mezzi di consumo per il valore di 500 da parte dell'operaio II, al capitalista II il valore di 500 IIv, che egli possedeva appunto ancora in merce gli ritorna in denaro, nella forma in cui l'aveva originariamente anticipato. Risultato immediato della transazione, come per ogni altra vendita di merce, è la conversione di un valore dato da forma merce in forma denaro. Anche il riflusso, così mediato, del denaro al suo punto di partenza non ha nulla di specifico. Se il capitalista II avesse comprato della merce dal capitalista I per 500 in denaro, poi da parte sua avesse venduto ad I merce per l'ammontare di 500, gli sarebbero egualmente rifluiti 500 in denaro. I 500 in denaro non avrebbero servito che allo scambio di una massa di merci di 1.000 e, in base alla legge generale già esposta, sarebbero rifluiti a colui che aveva gettato in circolazione il denaro per lo scambio di questa massa di merci.
Ma i 500 in denaro rifluiti al capitalista II sono nello stesso tempo un capitale variabile potenziale rinnovato in forma denaro. Perché? Il denaro, quindi anche il capitale denaro, è capitale variabile potenziale solo perché e in quanto convertibile in forza lavoro. Il ritorno delle 500 Lst. in denaro al capitalista II è accompagnato dal ritorno della forza lavoro II sul mercato. Il ritorno di entrambe su poli contrapposti - quindi anche la riapparizione di 500 in denaro non solo come denaro, ma anche come capitale variabile in forma denaro - è determinato da una sola e identica procedura. Il denaro = 500 rifluisce al capitalista II, perché questi ha venduto all'operaio II mezzi di consumo per l'ammontare di 500; quindi perché l'operaio ha speso il suo salario, mantenendo così se stesso e la famiglia e con ciò conservando anche la sua forza lavoro. Per continuare a vivere e per potersi ripresentare come acquirente di merci, egli deve vendere di nuovo la sua forza lavoro. Il ritorno dei 500 in denaro al capitalista II è dunque contemporaneamente ritorno, o rispettivamente persistenza, della forza lavoro come merce acquistabile con i 500 in denaro, e perciò ritorno dei 500 in denaro come capitale variabile potenziale.
Riguardo alla sottosezione IIb, che produce articoli di lusso, per il suo v, cioè (IIb)v, le cose stanno poi come per Iv. Il denaro, che rinnova ai capitalisti IIb in forma denaro il loro capitale variabile, rifluisce loro per la via traversa del passaggio per le mani dei capitalisti IIa. Vi è tuttavia una differenza se gli operai acquistano i loro mezzi di sussistenza direttamente dai produttori capitalistici ai quali vendono la loro forza lavoro, o li comprano da un'altra categoria di capitalisti, tramite i quali il denaro rifluisce ai primi solo per una via traversa. Poiché la classe operaia vive alla giornata, compra finché può comprare. Non così per i capitalisti; ad es., nello scambio di 1.000 IIc contro 1.000 Iv. Il capitalista non vive alla giornata. Il suo motivo animatore è la valorizzazione massima possibile del suo capitale. Se perciò intervengono circostanze di qualunque specie, che fanno apparire più vantaggioso al capitalista II, invece di rinnovare immediatamente il suo capitale costante, trattenerlo per qualche tempo, almeno in parte, in forma denaro, il riflusso dei 1.000 IIc (in denaro) ad I ritarda; ritarda quindi anche la ricostituzione dei 1.000v in forma denaro, e il capitalista I può continuare a lavorare sulla stessa scala soltanto se dispone di denaro di riserva, come d'altronde è necessario del capitale di riserva in denaro per poter continuare a lavorare ininterrottamente, senza riguardo al riflusso più o meno lento in denaro del valore capitale variabile.
Se si deve esaminare lo scambio dei diversi elementi della riproduzione dell'anno in corso, si deve pure esaminare il risultato del lavoro annuo trascorso, del lavoro dell'anno già terminato. Il processo di produzione che ha messo capo a questo prodotto annuo, ci sta dietro le spalle, è scomparso, si è sciolto nel suo prodotto; tanto più, dunque, lo è anche il processo di circolazione che precede il processo di produzione o corre parallelo ad esso, la conversione di capitale variabile potenziale in capitale variabile reale, cioè la compravendita di forza lavoro. Il mercato del lavoro non costituisce più una parte del mercato delle merci che qui si ha dinnanzi. L'operaio qui non solo ha già venduto la sua forza lavoro, ma, oltre al plusvalore, ha fornito un equivalente in merce del prezzo della sua forza lavoro; d'altra parte, ha in tasca il suo salario e, durante lo scambio, non figura che come acquirente di merci (mezzi di consumo). Ma, d'altro lato, il prodotto annuo deve contenere tutti gli elementi della riproduzione, ricostituire tutti gli elementi del capitale produttivo, quindi in primo luogo il suo elemento più importante, il capitale variabile. E in realtà abbiamo visto che, rispetto al capitale variabile, il risultato dello scambio si rappresenta come segue: in quanto compratore di merce, spendendo il suo salario e consumando la merce acquistata l'operaio conserva e riproduce la sua forza lavoro come l'unica merce che abbia da vendere: come il denaro anticipato nella compera di questa forza lavoro dal capitalista ritorna a quest'ultimo, così anche la forza lavoro, in quanto merce scambiabile con esso, ritorna sul mercato del lavoro. Come risultato, qui specificamente per 1.000 Iv, otteniamo: dal lato dei capitalisti I, 1.000v in denaro - e di contro, dal lato degli operai I, forza lavoro per il valore di 1.000: l'intero processo di produzione I può quindi ricominciare. È questo uno dei risultati del processo di scambio.
D'altra parte, la spesa del salario degli operai I ha prelevato da II mezzi di consumo per l'ammontare di1.000c, convertendoli in tal modo da forma merce in forma denaro; da questa forma denaro, II li ha riconvertiti nella forma naturale del suo capitale costante mediante acquisto di merci =1.000v da I, al quale così rifluisce in forma denaro il suo valore capitale variabile.
Il capitale variabile I compie tre metamorfosi che non appaiono affatto, o appaiono solo vagamente, nello scambio del prodotto annuo:
1. La prima forma è: 1.000 Iv, in denaro che vengono convertiti in forza lavoro per lo stesso importo. Questa conversione non appare essa stessa nello scambio di merce fra I e II, ma il suo risultato appare nel fatto che la classe operaia I si presenta di fronte al venditore di merci II con 1.000 in denaro, esattamente come la classe operaia II si presenta con 500 in denaro di fronte al venditore di merci di 500 II«in forma merce.
2. La seconda forma, l'unica nella quale il capitale variabile vari realmente, funzioni realmente come variabile, l'unica in cui una forza creatrice di valore appaia al posto di un valore dato, scambiato con essa, appartiene esclusivamente al processo di produzione, che ci siamo lasciati alle spalle.
3. La terza forma, in cui il capitale variabile si è confermato in quanto tale nel risultato del processo di produzione, è il valore annualmente prodotto ex novo; quindi, in I, = 1.000v + 1.000p = 2.000 I(v + p). Al suo valore originario = 1.000 in denaro, è subentrato un valore doppio = 2.000 in merce. Il valore capitale variabile = 1.000 in merce costituisce perciò anche soltanto la metà del valore prodotto dal capitale variabile come elemento del capitale produttivo. I 1.000v in merce sono l'esatto equivalente della parte per sua destinazione variabile del capitale totale, anticipata originariamente da I in 1.000v denaro; ma, in forma merce, non sono che denaro potenziale (diventano denaro reale solo mediante la loro vendita), quindi ancor meno sono capitale direttamente variabile. Infine, diventano capitale variabile attraverso la vendita della merce 1.000 Iv a IIc e la pronta riapparizione della forza lavoro come merce acquistabile, come materia in cui si possono convertire i 1.000v in denaro.
Durante tutte queste metamorfosi, il capitalista I tiene continuamente nelle proprie mani il capitale variabile: i) all'inizio, come capitale denaro; 2) poi, come elemento del suo capitale produttivo; 3) più tardi ancora, come parte di valore del suo capitale merce, dunque come valore merce; 4) infine nuovamente in denaro, al quale, ancora una volta, si contrappone la forza lavoro in cui esso è convertibile. Durante il processo di lavoro, il capitalista ha in mano il capitale variabile come forza lavoro attivantesi, creatrice di valore, ma non come valore di grandezza data; poiché tuttavia egli paga l'operaio sempre soltanto dopo che la sua forza ha già agito per un tempo più o meno lungo, ha pure già in sue mani, prima di pagare, il valore sostitutivo da essa creato, più il plusvalore.
Dato che il capitale variabile rimane sempre in qualche forma nelle mani del capitalista, non si può dire in alcun modo che si converta in reddito per qualcuno. Al contrario, i 1.000 Iv in merce si convertono in denaro mediante vendita a II, del cui capitale costante sostituiscono in natura la metà.
Ciò che si risolve in reddito, non è il capitale variabile I,1.000v, in denaro; questo denaro ha cessato di funzionare come forma denaro del capitale variabile I non appena è stato convertito in forza lavoro, così come il denaro di ogni altro venditore di merce ha cessato di rappresentare qualcosa di appartenente a lui, non appena lo abbia convertito in merce di un altro venditore. Le metamorfosi compiute nelle mani della classe operaia dal denaro incassato come salario sono conversioni non del capitale variabile, ma del valore trasformato in denaro della sua forza lavoro, esattamente come la conversione del valore prodotto dall'operaio (2.000 I (v + p) non è che la conversione di una merce posseduta dal capitalista e non riguardante affatto l'operaio. Solo difficilmente, tuttavia, il capitalista - e, a fortiori, il suo interprete teorico, l'economista - può sottrarsi all'impressione che il denaro versato all'operaio continui ad essere denaro suo, del capitalista. Se questi è produttore d'oro, la stessa parte di valore variabile - cioè l'equivalente in merce che gli sostituisce il prezzo di acquisto del lavoro - riappare in forma denaro, può quindi funzionare di nuovo come capitale denaro variabile, senza la via traversa di un riflusso. Per quanto invece riguarda l'operaio in II - se prescindiamo dall'operaio delle industrie di lusso -, i 500, esistono essi stessi in merci destinate al consumo dell'operaio, che egli, considerato come operaio complessivo, compra di nuovo direttamente dallo stesso capitalista complessivo al quale ha venduto la propria forza lavoro. La parte di valore variabile del capitale II consiste per la sua forma naturale in mezzi di consumo, destinati per la maggior parte al consumo della classe operaia. Ma non è il capitale variabile ad essere speso in questa forma dall'operaio; è il salario, il denaro dell'operaio, che appunto mediante la sua realizzazione in quei mezzi di consumo reintegra in forma denaro, per il capitalista, il capitale variabile 500 IIv. Il capitale variabile II, è riprodotto in mezzi di consumo così come il capitale costante 2.000 IIc; né l'uno né l'altro si risolvono in reddito. Ciò che si risolve in reddito è, in entrambi i casi, il salario.
Che però mediante la spesa del salario come reddito vengano ricostituiti come capitale denaro, prima, 1.000 IIc, poi, per questa stessa via traversa, 1.000 Iv e infine, parimenti, 500 IIc, dunque capitale costante e variabile (questo, mediante riflusso in parte diretto e in parte indiretto) è un fatto importante nello scambio del prodotto annuo.
Una grossa difficoltà, nella rappresentazione degli scambi della riproduzione annua, è la seguente. Se prendiamo la forma più semplice in cui si presenta la cosa, abbiamo:
(I) 4.000c + 1.000v + 1.000p +
(II) 2.000c+ 500v+ 500p = 9.000,
il che si risolve, in ultima istanza, in: 4.000 Ic + 2.000 IIc + + 1.000 Iv + 500IIv + 1.000 Ip + 500IIp = 6.000c + 1.500v + 1.500p = 9.000. Una parte di valore del capitale costante, nella misura in cui quest'ultimo consta di veri e propri mezzi di lavoro (in quanto sezione distinta dei mezzi di produzione), è trasferita dai mezzi di lavoro nel prodotto del lavoro (la merce); questi mezzi continuano a funzionare come elementi del capitale produttivo, e ciò nella loro forma naturale originaria; è la loro usura, la perdita di valore da essi via via subita durante il loro funzionamento continuo nel corso di un periodo determinato, che riappare come elemento di valore delle merci prodotte per loro mezzo; è trasferita dallo strumento di lavoro nel prodotto del lavoro. Agli effetti della riproduzione annua, contano perciò qui, fin dall'inizio, solo quegli elementi del capitale fisso, la cui vita si prolunga al di là di un anno. Se periscono interamente nel corso dell'anno, essi vanno anche interamente sostituiti e rinnovati mediante la riproduzione annua; a priori, quindi, il punto in questione non li riguarda. Nel caso di macchine e di altre forme relativamente durevoli del capitale fisso, può accadere - e accade abbastanza spesso - che alcuni dei loro organi parziali siano da rinnovare integralmente nel corso dell'anno, sebbene il corpo degli edifici o delle macchine preso nell'insieme sia longevo. Questi organi parziali rientrano nella stessa categoria degli elementi del capitale fisso che durante l'anno devono essere sostituiti.
Non si deve confondere questo elemento di valore delle merci con le spese di riparazione. Se la merce si vende, questo elemento di valore viene monetizzato, convertito in denaro, come gli altri; ma, dopo la sua conversione in denaro, la sua differenza dagli altri elementi di valore balza in luce. Le materie prime e ausiliarie consumate nella produzione delle merci vanno, affinché la riproduzione delle merci abbia inizio (e, in generale, il processo di produzione delle merci sia continuo), sostituite in natura-, altrettanto dicasi della forza lavoro spesa in esse, che va sostituita con forza lavoro fresca. Il denaro ricavato dalla vendita della merce va quindi riconvertito in questi elementi del capitale produttivo, da forma denaro in forma merce. Il fatto che, per es., materie prime ed ausiliarie vengano acquistate a scadenze date in masse ragguardevoli - in modo da costituire scorte produttive -; che quindi, per un certo lasso di tempo, non occorra acquistare di nuovo questi mezzi di produzione; che dunque, finché durano, anche il denaro proveniente dalla vendita della merce - in quanto serva a tale scopo - possa accumularsi, e questa parte del capitale costante appaia perciò temporaneamente come capitale denaro sospeso nella sua funzione attiva; tutto ciò non cambia nulla alla cosa. Non è capitale reddito; è capitale produttivo sospeso in forma denaro. I mezzi di produzione vanno continuamente rinnovati, benché la forma di questo rinnovo - in rapporto alla circolazione - possa variare. Il nuovo acquisto, l'operazione circolatoria mediante la quale vengono rinnovati, sostituiti, può avvenire in tempi piuttosto lunghi; ecco allora un forte esborso di denaro compensato da una scorta produttiva corrispondente; oppure può avvenire a scadenze ravvicinate: ecco allora una rapida successione di dosi relativamente modeste di esborsi di denaro, piccole scorte produttive. Ciò non cambia nulla alla questione. E lo stesso vale per la forza lavoro. Quando la produzione si svolge per tutto l'anno, in forma continuativa, sulla stessa scala, si ha costante sostituzione della forza lavoro consumata con nuova forza lavoro; quando invece il lavoro è stagionale e, in periodi successivi, si impiegano dosi di lavoro diverse, come in agricoltura, si ha acquisto corrispondente di una massa ora minore, ora maggiore di forza lavoro. Ma il denaro ricavato dalla vendita di merci, in quanto monetizzi la parte di valore di queste che è pari all'usura del capitale fisso, non viene riconvertito nell'elemento del capitale produttivo di cui compensa la perdita di valore; si deposita accanto al capitale produttivo e perdura nella sua forma denaro. Questa sedimentazione di denaro si ripete finché non sia trascorsa l'epoca di riproduzione, composta di un numero più o meno grande di anni, durante la quale l'elemento fisso del capitale costante continua a funzionare nel processo di produzione nella sua vecchia forma naturale. Quando l'elemento fisso - fabbricati, macchine, ecc. - si è estinto, quando non può più svolgere la sua funzione nel processo produttivo, il suo valore gli sussiste accanto, totalmente reintegrato in denaro - nella somma dei depositi di denaro, dei valori gradualmente trasferiti dal capitale fisso nelle merci che esso ha contribuito a produrre e che, mediante la vendita delle merci, sono trapassati nella forma denaro. Questo denaro serve allora a sostituire in natura il capitale fìsso (o suoi elementi, perché i suoi diversi elementi hanno una diversa durata di vita) e a rinnovare così realmente questa parte costitutiva del capitale produttivo: è dunque forma denaro di una parte del valore capitale costante, della sua parte fìssa. Perciò questa tesaurizzazione è essa stessa un elemento del processo di riproduzione capitalistico, riproduzione e accantonamento in forma denaro del valore del capitale fìsso, o di suoi singoli elementi, fino al giorno in cui il capitale fisso si sia estinto e, di conseguenza, abbia ceduto tutto il suo valore alle merci prodotte, per cui lo si deve sostituire in natura. Ma questo denaro perde la sua forma tesoro, quindi rientra nuovamente nel processo di riproduzione mediato dalla circolazione, solo quando venga riconvertito in nuovi elementi del capitale fisso, per sostituirne gli elementi estinti.
Come la circolazione semplice delle merci non è identica al puro e semplice scambio di prodotti, così la conversione delle merci prodotte nell'anno non può risolversi in puro e semplice scambio immediato, reciproco, dei loro elementi diversi. Qui il denaro svolge una funzione specifica, che si esprime particolarmente anche nel modo di riproduzione del valore capitale fisso. (Bisognerà poi studiare come si presenterebbe diversamente la cosa, se la produzione fosse comune, collettiva, e non avesse la forma della produzione di merci).
Tornando ora allo schema fondamentale, avevamo per la sezione II: 2.000c + 500v+ 500p. Qui la totalità dei mezzi di consumo prodotti nel corso dell'anno è pari al valore di 3.000; e ognuno dei diversi elementi merce dei quali si compone la massa delle merci si divide, secondo il suo valore, in 2/3c + 1/6v + 1/6p, ovvero percentualmente in 66 2/3c + 16 2/3v + 16 2/3p.
Le diverse specie di merci della sezione II possono contenere capitale costante in varia proporzione; così pure la Parte fissa del capitale costante può, in esse, variare, e altrettanto dicasi della durata di vita delle parti di capitale fisse, quindi anche dell'usura annua, ovvero della parte di valore che esse trasferiscono prò rata nelle merci che hanno contribuito a produrre. La cosa è qui indifferente. Agli effetti del processo di riproduzione sociale, non si tratta che dello scambio fra le sezioni II e I. Qui II e I si fronteggiano unicamente nei loro rapporti di massa sociali; la grandezza proporzionale della parte di valore c del prodotto merce II (la sola determinante nella questione qui trattata) è perciò il rapporto medio che risulta ove si riuniscano tutti i rami di produzione sussunti sotto II.
Ognuna delle specie di merci (e sono in gran parte le stesse specie di merci) il cui valore totale è indicato come 2.000c + 500v + 500p , è quindi, secondo il valore, uniformemente = 66 2/3 %c + 16 2/3 %v + 16 2/3 %p. Ciò vale per ogni 100 delle merci figuranti sia sotto c, sia sotto v, sia sotto p.
Le merci in cui si sono materializzati i 2.000c sono a loro volta scomponibili, secondo il valore, in:
1) 1333 1/3c + 333 1/3v + 333 1/3p= 2.000c;
allo stesso modo, 500v sono scomponibili in:
2) 333 1/3c + 83 1/3v + 83 1/3p = 500v;
e, infine, 500p sono scomponibili in:
3) 333 1/3c + 83 1/3v + 83 1/3p = 500p;
Addizionando ora i c in 1, 2 e 3, abbiamo: 1333 1/3c + 333 1/3c + 333 1/3c = 2.000. Così pure, 333 1/3v + 333 1/3v + 333 1/3v = 500, e altrettanto per p. La somma complessiva dà il valore totale di 3.000, come sopra.
L'intero valore capitale costante contenuto nella massa di merci II per il valore di 3.000 è dunque contenuto in 2.000c; né 500v, né 500p ne contengono un atomo. Lo stesso vale, da parte loro, per v e p.
In altre parole: l'intera quota della massa di merci II, che rappresenta valore capitale costante, ed è quindi riconvertibile sia nella sua forma naturale, sia nella sua forma denaro, esiste in 2.000c. Tutto ciò che si riferisce allo scambio del valore costante delle merci II è dunque limitato al movimento di 2.000 IIc, e questo scambio può avvenire soltanto con I (1.000v +1.000p).
Egualmente, per la sezione I, tutto ciò che si riferisce allo scambio del valore capitale costante ad essa appartenente va limitato all'analisi di 4.000 lc.
I. Reintegrazione in forma denaro della parte di valore corrispondente all'usura.
Se prendiamo anzitutto:
I. 4.000c + 1.000v +1.000p
II . . . . . . 2.000c + 500v + 500p,
lo scambio delle merci 2.000 IIc contro merci dello stesso valore I (1.000v + 1.000p) presupporrebbe che i 2.000 IIc si riconvertissero tutti insieme in natura negli elementi naturali prodotti da I del capitale costante II; ma il valore merce di 2.000, in cui esiste quest'ultimo, contiene un elemento per la perdita di valore del capitale fisso, che non si può sostituire immediatamente in natura, ma dev'essere convertito in denaro che via via si accumula come somma totale finché non sia scaduto il termine del rinnovo del capitale fisso nella sua forma naturale. Ogni anno è l'anno di morte per il capitale fisso da sostituire in questa o quell'impresa individuale o anche in questo o quel ramo d'industria; nello stesso capitale individuale, questa o quella frazione del capitale fisso (dato che le sue parti hanno una diversa durata di vita) dev'essere sostituita. Se consideriamo la riproduzione annua - anche se su scala semplice, cioè astraendo da ogni accumulazione -, non cominciamo ab ovo; è in corso un anno fra i molti, non è il primo anno di nascita della produzione capitalistica. I diversi capitali investiti nei molteplici rami di produzione della sezione II sono perciò di età diversa, e come ogni anno muoiono persone operanti in questi rami di produzione, così ogni anno masse di capitale fisso giungono alla fine della loro vita e devono essere rinnovate in natura attingendo al fondo monetario accumulato. In questo senso, nello scambio di 2.000 IIc contro 2.000 I(v + p) è compresa la conversione di 2.000 IIc dalla loro forma merce (come mezzi di consumo) in elementi materiali consistenti non solo in materie prime ed ausiliarie, ma anche in elementi naturali del capitale fìsso, macchine, attrezzi, fabbricati, ecc. L'usura da reintegrare in denaro nel valore di 2.000 IIc non corrisponde perciò al volume del capitale fìsso un funzione, perché ogni anno una parte di esso va sostituita in natura; ma ciò presuppone che nell'anno precedente si sia accumulato nelle mani dei capitalisti della sezione II il denaro necessario a tale conversione. Ora appunto questo presupposto vale per l'anno in corso così come l'abbiamo assunto per i precedenti.
Nello scambio fra 1 (1.000v + 1.000p) e 2.000 IIc, va osservato prima di tutto che la somma di valore I(v + p) non contiene alcun elemento di valore costante, quindi neppure un elemento di valore per l'usura da reintegrare, cioè per il valore trasferito dall'elemento fisso del capitale costante nelle merci nella cui forma naturale esistono v + p. Questo elemento esiste invece in IIc, ed è appunto una parte di questo elemento di valore dovuto al capitale fisso che non si può convertire immediatamente da forma denaro in forma naturale, ma deve prima indugiare in forma denaro. Perciò, nello scambio di I (1.000v +1.000p) contro 2.000 IIc sorge immediatamente la difficoltà che i mezzi di produzione I, nella cui forma naturale esistono i 2.000(v + p), vanno convertiti per tutto il loro ammontare di valore di 2.000 contro un equivalente in mezzi di consumo II, mentre invece i mezzi di consumo 2.000 IIc non possono essere convertiti per tutto il loro ammontare di valore nei mezzi di produzione I (1.000v +1.00p,), perché un'aliquota del loro valore - pari all'usura o perdita di valore del capitale fisso da reintegrare - deve prima sedimentarsi in denaro che allora non funziona più come mezzo di circolazione entro il corrente periodo di riproduzione annuo, del quale soltanto ci occupiamo.
Ma il denaro con cui viene monetizzato l'elemento di usura nascosto nel valore merce 2.000 IIc può soltanto provenire da I, perché II non può pagare se stesso, ma si paga appunto con la vendita della sua merce, e, secondo quanto presupposto, I(v + p) acquista l'intera somma di merce 2.000 IIc, dunque la sezione I deve, con questo acquisto, monetizzare quell'usura per II. Ora, secondo la legge svolta in precedenza, il denaro anticipato alla circolazione ritorna al produttore capitalistico, che poi getta nella circolazione un'eguale quantità di merce. È chiaro che I, nell'acquisto di IIc, non può dare a II merce per 2.000 e in più, a fondo perduto, una somma di denaro eccedente (senza che questa gli ritorni attraverso l'operazione dello scambio): se così fosse, egli acquisterebbe la massa di merci IIc al disopra del suo valore. In realtà, se II scambia i suoi 2.000c contro I (1.000v + 1.000p), non ha null'altro da pretendere da I, e il denaro circolante durante questo scambio ritorna a I o a II, secondo chi dei due l'ha gettato in circolazione, cioè chi dei due si è presentato per primo come compratore. Nello stesso tempo, in questo caso, II avrebbe riconvertito il suo capitale merce, per tutta la sua grandezza di valore, nella forma naturale di mezzi di produzione, mentre il presupposto è che, dopo la sua vendita, durante il periodo annuo di riproduzione in corso egli non ne riconverta un'aliquota da denaro nella forma naturale degli elementi fissi del suo capitale costante. Dunque, un saldo in denaro potrebbe affluire a II soltanto se vendesse bensì per 2.000 a I, ma comprasse da I per meno di 2.000, per es. solo 1.800; in tal caso, I dovrebbe regolare il saldo con 200 in denaro che non gli rifluirebbe, perché egli non avrebbe nuovamente sottratto alla circolazione questo denaro anticipatole immettendo nella circolazione merci = = 200. In tal caso, avremmo per II un fondo monetario in conto usura del capitale fisso, ma avremmo dall'altro lato, per I, sovraproduzione di mezzi di produzione per l'ammontare di 200, e così crollerebbe l'intera base dello schema, cioè riproduzione su scala costante, quindi con il presupposto di una perfetta proporzionalità fra i diversi sistemi di produzione. Una difficoltà sarebbe stata solo soppiantata da un'altra molto più fastidiosa.
Poiché il problema presenta difficoltà sue particolari e finora gli economisti non l'hanno affrontato, considereremo nell'ordine tutte le possibili (almeno apparentemente possibili) soluzioni, o meglio impostazioni, del problema stesso.
Anzitutto, poco prima avevamo supposto che II vendesse 2.000 a I, ma comprasse da I merci per soli 1.800. Se nel valore merce 2.000 IIc fossero contenuti 200 a reintegrazione dell'usura, da tesaurizzare in denaro, il valore 2.000 IIc si scomporrebbe m 1.800 da scambiare contro mezzi di produzione I, e in 200 a reintegrazione dell'usura, da trattenere in denaro (dopo la vendita dei 2.oooc a I). Ovvero, rispetto al loro valore, 2.000 IIc sarebbero = 1.800c+ 200c (d), dove d = déchet (usura, logorio).
Avremmo allora da considerare lo scambio:
I. 1.000v + 1.000p
II. 1.800c + 200c(i).
Con le 1.000 Lst. affluite in salario agli operai come pagamento della loro forza lavoro, I compra per 1.000 IIc mezzi di consumo; con le stesse 1.000 Lst., II compra per 1.000 Iv mezzi di produzione. Così il capitale variabile rifluisce ai capitalisti I in forma denaro, e l'anno seguente essi possono acquistare forza lavoro per lo stesso ammontare di valore, cioè sostituire in natura la parte variabile del loro capitale produttivo. Inoltre, con 400 Lst. anticipate, II compra mezzi di produzione Ip e, con le stesse 400 Lst., Ip acquista mezzi di consumo IIc. Le 400 Lst. anticipate alla circolazione da II sono così ritornate ai capitalisti II, ma solo come equivalente di merce venduta. I compra per 400 Lst. anticipate mezzi di consumo; II compra da I per 400 Lst. mezzi di produzione; con il che queste 400 Lst. rifluiscono ad I. Il conto, fin qui, è il seguente:
I getta in circolazione 1.000v+ 800p in merce; vi getta inoltre in denaro 1.000 Lst. in salario e 400 Lst. per lo scambio con II. Compiuto lo scambio, I ha 1.000v in denaro, 800p convertiti in 800 IIc (mezzi di consumo) e 400 Lst. in denaro.
II getta in circolazione 1.800c in merce (mezzi di consumo) e 400 Lst. in denaro; compiuto lo scambio, ha 1.800 in merce I (mezzi di produzione) e 400 Lst. in denaro.
Adesso abbiamo ancora, dal lato di I, 200p (in mezzi di produzione) e, dal lato di II, 200c (d) (in mezzi di consumo).
Secondo l'ipotesi, I compra con 200 Lst. i mezzi di consumo c(d) per l'ammontare di valore di 200; ma queste 200 Lst. II le trattiene, perché rappresentano 200c(d) di usura, quindi non vanno direttamente riconvertiti in mezzi di produzione. Dunque, 200 Iv sono invendibili; 1/5 del plusvalore I da reintegrare non è realizzabile, non può essere convertito dalla sua forma naturale di mezzi di produzione in quella di mezzi di consumo.
Questo non solo contraddice al presupposto della riproduzione su scala semplice; ma non è in sé e per sé un'ipotesi tale da spiegare la monetizzazione di 200c(d); significa piuttosto che questa non è spiegabile. Non potendosi dimostrare come si possano monetizzare i 200c(d), si suppone che I abbia la compiacenza di monetizzarli, proprio perché I non è in grado di monetizzare il proprio resto di 200v. Supporre ciò come una normale operazione del meccanismo di scambio equivale esattamente a supporre che ogni anno 200 Lst. piovano dal cielo al preciso scopo di monetizzare regolarmente i 200c(d).
L'assurdità di una simile ipotesi non balza però immediatamente agli occhi, se Iv, invece di presentarsi, come qui, nel suo originario modo d'essere - cioè come elemento del valore di mezzi di produzione, e quindi del valore di merci che i produttori capitalistici devono realizzare in denaro mediante la loro vendita -, appare in mano ai compartecipanti dei capitalisti, per es. come rendita in mano a proprietari fondiari o come interesse in mano a prestatori di denaro. Ma se la parte del plusvalore delle merci che il capitalista industriale deve cedere come rendita fondiaria o come interesse ad altri comproprietari del plusvalore non è alla lunga realizzabile mediante la vendita delle stesse merci, allora anche il pagamento della rendita o dell'interesse ha fine, e i proprietari fondiari o i percettori d'interessi non possono servire, spendendoli, come dei ex machina per la monetizzazione a volontà di determinate parti della riproduzione annua. Lo stesso vale per le spese di tutti i cosiddetti lavoratori improduttivi, funzionari statali, medici, avvocati, ecc., e chiunque altro, nella forma del «grande pubblico», renda agli economisti il «servizio» di spiegare ciò che essi hanno lasciato senza spiegazione.
Né vi si rimedia se, invece dello scambio diretto fra I e II - fra le due grandi sezioni dei produttori capitalistici stessi - si tira in ballo il commerciante come mediatore e, col suo «denaro», ci si aiuta a superare ogni difficoltà. Nel caso dato, per es., 200 Ip devono infine e definitivamente essere smerciati ai capitalisti industriali di II. Passino pure attraverso le mani di una serie di commercianti; l'ultimo di questi si troverà di fronte a II - in base all'ipotesi - nello stesso caso in cui si trovavano all'inizio i produttori capitalisti di I; cioè non può vendere a II i 200 Ip; e la somma di acquisti arenatasi non potrà rinnovare il medesimo processo con I.
Qui si vede come, prescindendo dal nostro scopo specifico, sia assolutamente necessario considerare il processo di riproduzione nella sua forma fondamentale - eliminando tutti gli schermi che lo offuscano - per liberarsi dei sotterfugi che generano l'apparenza di una spiegazione «scientifica» quando si fa subito oggetto dell'analisi il processo di riproduzione sociale nella sua aggrovigliata forma concreta.
La legge secondo cui, dato un corso normale della riproduzione (su scala semplice come su scala allargata), il denaro anticipato dal produttore capitalistico alla circolazione deve tornare al suo punto di partenza (dove non importa che il denaro gli appartenga o sia preso a prestito), esclude quindi una volta per tutte l'ipotesi che 200 IIc(d) venga monetizzato con denaro anticipato da I.
2. Sostituzione in natura del capitale fisso II.
Scartata l'ipotesi or ora esaminata, rimangono soltanto quelle possibilità che, oltre alla reintegrazione in denaro della parte di usura, includono il completamento della sostituzione in natura del capitale fisso definitivamente consumato.
In precedenza avevamo supposto:
a) Che 1.000 Lst. pagate in salario da I vengano spese dagli operai, per lo stesso ammontare di valore, in IIc; cioè che essi le impieghino per l'acquisto di mezzi di consumo.
Che qui le 1.000 Lst. vengano da I anticipate in denaro, non è che una constatazione di fatto. Il salario dev'essere corrisposto in denaro dai rispettivi produttori capitalistici; gli operai spendono poi questo denaro in mezzi di sussistenza e, a loro volta, i venditori dei mezzi di sussistenza lo utilizzano come medio circolante nella conversione del loro capitale costante da capitale merce in capitale produttivo. Esso corre bensì attraverso diversi canali (bottegai, proprietari di casa, esattori di imposte, lavoratori improduttivi, come medici, ecc., di cui lo stesso operaio ha bisogno), quindi solo in parte affluisce direttamente dalle mani degli operai I in quelle della classe di capitalisti II: il flusso può arrestarsi più o meno, quindi possono rendersi necessarie nuove riserve di denaro dal lato dei capitalisti. Ma tutto ciò non rientra nell'esame di questa forma fondamentale.
b) Avevamo supposto che, una volta, I anticipi altre 400 Lst. per acquisti da II in denaro che gli rifluisce, così come, un'altra volta, II anticipa 400 Lst., che gli rifluiscono, per acquisti da I. Quest'ipotesi va fatta perché, altrimenti, sarebbe arbitrario presumere che la classe di capitalisti I, oppure la classe di capitalisti II, anticipi unilateralmente alla circolazione il denaro necessario allo scambio di merci. Poiché nel paragrafo precedente, n. 1, si è dimostrato che va respinta come assurda l'ipotesi che I getti in circolazione denaro addizionale per monetizzare 200 IIc(d), non resterebbe manifestamente che l'ipotesi, in apparenza ancora più assurda, che sia II stesso a gettare nella circolazione il denaro con cui viene monetizzato l'elemento di valore della merce chiamato a reintegrare l'usura del capitale fìsso. Per es., la parte di valore che il filatoio meccanico del signor X perde nella produzione riappare come parte di valore del filato; ciò che, da un lato, il suo filatoio perde in valore, ossia l'usura, deve dall'altro accumularsi presso di lui come denaro. Ora X potrebbe, per es., comprare da Y per 200 Lst. di cotone, e così anticipare alla circolazione 200 Lst. in denaro; con le stesse 200 Lst. Y gli compra del filato, e queste 200 Lst. servono ora ad X come fondo per la sostituzione dell'usura del filatoio meccanico. Tutto ciò si ridurrebbe al fatto che X, indipendentemente dalla sua produzione e relativo prodotto, e dalla vendita di questo, tenga in petto 200 Lst. per ripagarsi della perdita di valore del suo filatoio, cioè che, oltre alla perdita di valore di quest'ultimo per l'ammontare di 200 Lst., debba ogni anno aggiungerne di tasca sua altre 200 per essere infine in grado di comprare un nuovo filatoio meccanico.
L'assurdo è però soltanto apparente. La sezione II è composta di capitalisti il cui capitale fisso si trova in stadi del tutto diversi di riproduzione. Per gli uni, esso è giunto allo stadio in cui va interamente sostituito in natura; per gli altri, ne è più o meno lontano; comune a tutti i membri dell'ultimo gruppo è il fatto che il loro capitale fisso non viene realmente riprodotto, cioè rinnovato in natura o sostituito da un nuovo esemplare della stessa specie, ma il suo valore viene progressivamente accumulato in denaro. Il primo gruppo si trova completamente (o parzialmente, cosa che qui non importa) nella stessa situazione che all'atto di costituire l'impresa, quando è apparso sul mercato con un capitale denaro per convertirlo da un lato in capitale costante (fisso e circolante) e, dall'altro, in forza lavoro, in capitale variabile. Come allora, esso deve nuovamente anticipare alla circolazione questo capitale denaro, quindi il valore sia del capitale costante fisso, sia del capitale circolante e del capitale variabile.
Se perciò si suppone che la metà delle 400 Lst. che la classe di capitalisti II getta nella circolazione per lo scambio con I provenga da quei capitalisti in II che devono rinnovare in natura non solo, mediante le loro merci, i loro mezzi di produzione appartenenti al capitale circolante, ma anche, mediante il loro denaro, il proprio capitale fisso, mentre l'altra metà dei capitalisti II sostituisce in natura, mediante il suo denaro, solo la parte circolante del proprio capitale costante, ma non rinnova in natura il proprio capitale fisso, allora non v'è nulla di contraddittorio nel fatto che le 400 Lst. in riflusso (in riflusso quando con esse I compra mezzi di consumo) si ripartiscono diversamente fra questi due gruppi di II. Esse rifluiscono alla sezione II, ma non nelle stesse mani; si ripartiscono in modo diverso nell'ambito di questa sezione, passano dall'una all'altra delle sue parti componenti.
Il primo gruppo di II, oltre alla parte di mezzi di produzione infine coperta dalle sue merci, ha convertito 200 Lst. in denaro in nuovi elementi di capitale fissi in natura. Il denaro così sborsato - come all'inizio dell'impresa - gli rifluisce dalla circolazione solo a poco a poco, nel corso di una serie d'anni, quale elemento di valore d'usura delle merci da produrre con quel capitale fisso.
L'altro gruppo di II, invece, non ha acquistato merci da I per 200 Lst., ma I lo paga col denaro con cui il primo gruppo di II ha acquistato elementi fissi del suo capitale. Il primo gruppo di II possiede di nuovo in forma naturale rinnovata il suo valore capitale fìsso; l'altro è ancora dedito ad accumularlo in forma denaro per sostituire più tardi in natura il proprio capitale fìsso.
Lo stato di cose dal quale dobbiamo prendere l'avvio, dopo gli scambi precedenti, è il resto delle merci da scambiare dalle due parti: per I, 400p; per II, 400c. (Ancora una volta, le cifre non corrispondono all'ipotesi che precede. Ma ciò è indifferente, perché quel che interessa sono soltanto» rapporti - F. E.) Poniamo che II anticipi 400 in denaro per lo scambio di queste merci dell'ammontare di 800. In ogni caso, una metà delle 400 (= 200) dev'essere sborsata dal gruppo di IIC che ha accumulato 200 in denaro come valore corrispondente all'usura, valore d'usura, e che deve ora riconvertirli nella forma naturale del suo capitale fisso.
Esattamente come il valore capitale costante, il valore capitale variabile e il plusvalore - in cui è scomponibile il valore del capitale merce sia di II, sia di I - possono rappresentarsi in particolari quote proporzionali delle merci II e rispettivamente I, così, entro lo stesso valore capitale costante, si può rappresentare la parte di valore che non deve ancora essere convertita nella forma naturale del capitale fisso, ma, per il momento, è ancora da tesaurizzare a poco a poco in forma denaro. Una data quantità di merci II (nel nostro caso, dunque, la metà del resto = 200) è qui ormai soltanto depositaria di questo valore d'usura destinato a sedimentarsi in denaro tramite lo scambio. (Il primo gruppo dei capitalisti II, che rinnova in natura il capitale fisso, può aver già realizzato, con la parte di usura della massa di merci di cui qui figura ormai soltantoil resto, una parte del suo valore d'usura; gli rimangono però da realizzare ancora 200 in denaro).
Quanto alla seconda metà (= 200) delle 400 Lst. gettate in circolazione da II in questa operazione residuale, essa acquista da I degli elementi circolanti del capitale costante. Una parte delle 200 Lst. può essere gettata in circolazione da entrambi i gruppi di II, o solo da quello che non rinnova in natura l'elemento di valore fisso.
Con le 400 Lst. vengono dunque prelevate da I: 1) merci per l'ammontare di 200 Lst., che constano solo di elementi del capitale fisso; 2) merci per l'ammontare di 200 Lst., che sostili.
tuiscono solo elementi naturali della parte circolante del capitale costante di II. Ora I ha venduto tutte le merci prodotte nell'anno, in quanto siano da vendere a II; ma il valore di un quinto di esse, 400 Lst., esiste ora nelle sue mani in forma denaro. Questo denaro è però plusvalore monetizzato, che dev'essere speso come reddito in mezzi di consumo. Con le 400, I compra dunque l'intero valore merce di II = 400. Il denaro rifluisce quindi a II, acquistandone la merce.
Immaginiamo ora tre casi, designando come «gruppo 1» i capitalisti di II che sostituiscono in natura capitale fisso, e come «gruppo 2» quelli che accumulano in forma denaro il valore d'usura del capitale fisso. I tre casi sono i seguenti: a) delle 400 ancora sussistenti in merci come resto sub II, una quota sia per il gruppo 1, sia per il gruppo 2 (diciamo 1/2 ciascuno) deve sostituire date quote di parti circolanti del capitale costante; b) il gruppo 1 ha già venduto tutta la sua merce, quindi il gruppo 2 ha ancora da vendere 400; c) il gruppo 2 ha venduto tutto, salvo le 200 depositarie di valore d'usura. Otteniamo così le seguenti ripartizioni:
a) del valore merce = 400e che II ha ancora in mano, il gruppo 1 possiede 100 e il gruppo 2 possiede 300; di queste, 200 rappresentano l'usura. In tal caso, delle 400 Lst. in denaro che I ora rinvia per prelevare le merci II, il gruppo 1 ne ha sborsate originariamente 300, cioè 200 in denaro, per cui ha ritirato da I elementi di capitale fissi in natura, e 100 in denaro per mediare lo scambio di merci con I; il gruppo 2, invece, ha anticipato solo 1/4 delle 400, dunque 100, sempre per mediare il proprio scambio di merci con I.
Delle 400 in denaro, 300 le ha quindi anticipate il gruppo 1, e 100 il gruppo 2.
Ma, di queste 400:
Al gruppo I ne rifluiscono 100, dunque soltanto 1/3 del denaro da esso anticipato. Ma, per gli altri 2/3, esso possiede capitale fisso rinnovato per il valore di 200. Per questo elemento di capitale fisso del valore di 200, ha dato ad I denaro al quale non ha fatto seguire nessuna cessione di merce. Rispetto ad essa, appare nei confronti di I solo come compratore, non anche, successivamente, come venditore. Perciò questo denaro non può rifluire al gruppo 1; altrimenti, esso avrebbe ricevuto in regalo da I gli elementi fissi del suo capitale. Rispetto all'ultimo terzo del denaro anticipato, il gruppo 1 era apparso prima come compratore di elementi circolanti del proprio capitale costante: con lo stesso denaro, I acquista il resto della sua merce per il valore di 100; quindi il denaro gli rifluisce (al gruppo i di II), perché esso interviene come venditore di merci subito dopo essere intervenuto come compratore. Se non gli rifluisse, II [gruppo 1) avrebbe dato ad I, per merci dell'ammontare di 100, prima 100 in denaro, poi, in più, 100 in merce; dunque, gli avrebbe regalato la sua merce.
Al gruppo 2, che aveva anticipato 100 in denaro, rifluiscono invece 300 in denaro; 100, perché prima, come compratore, aveva gettato in circolazione 100 in denaro, e le riottiene come venditore; 200, perché agisce soltanto come venditore di merci per l'ammontare di valore di 200, non invece come compratore. Dunque, il denaro non può rifluire a I: l'usura di capitale fisso è compensata mediante il denaro messo in circolazione da II (gruppo 1) nell'acquisto di elementi fissi di capitale; ma giunge nelle mani del gruppo 2 non come denaro del gruppo 1, ma come denaro appartenente alla sezione I.
b) Secondo questa ipotesi, il resto di IIc si ripartisce in modo che il gruppo 1 possieda 200 in denaro e il gruppo 2 possieda 400 in merce.
Il gruppo 1 ha venduto tutta la sua merce, ma i 200 in denaro sono la forma metamorfosata dell'elemento fisso del suo capitale costante, che deve rinnovare in natura. Perciò qui esso si presenta solo come compratore, e al posto del suo denaro riceve della merce I, per lo stesso ammontare di valore, in elementi naturali del capitale fisso. Il gruppo 2 non ha da gettare in circolazione, al massimo (se, per lo scambio di merci fra I e II, I non anticipa denaro), che 200 Lst., poiché per la metà del suo valore merce è soltanto venditore a I, non compratore da I.
Dalla circolazione gli ritornano 400 Lst.: 200, perché le ha anticipate come compratore e le riottiene come venditore di 200 in merce; 200, perché vende merce a I per il valore di 200, senza ritirare da I un equivalente di esse in merce.
c) Il gruppo 1 possiede 200 in denaro e 200c in merce; il gruppo 2, 200c(d) in merce.
In base a questa ipotesi, il gruppo 2 non ha da anticipare nulla in denaro, perché, nei confronti di I, non agisce più come compratore, ma ancora soltanto come venditore; quindi deve aspettare che si compri da esso.
Il gruppo 1 anticipa 400 Lst. in denaro: 200 per lo scambio reciproco di merci con I, 200 in qualità di semplice compratore da I. Con queste ultime 200 Lst. in denaro, compra gli elementi fìssi del capitale.
Con 200 Lst. in denaro, I compra merci per 200 dal gruppo 1, al quale perciò rifluiscono le 200 Lst. in denaro anticipate per questo scambio di merci; con le altre 200 Lst. - egualmente ricevute dal gruppo 1 - I compra merci per 200 dal gruppo 2, al quale così precipita in denaro l'usura del suo capitale fìsso.
La cosa non cambierebbe affatto supponendo che, nel caso c), non fosse la sezione II (gruppo 1) ma la sezione I ad anticipare le 200 in denaro per lo scambio delle merci esistenti. Se allora I, prima, compra della merce per 200 da II, gruppo 2 - al quale si presuppone che gli sia rimasto da vendere solo questo residuo di merce -, le 200 Lst. non rifluiscono a I, perché II, gruppo 2, non si ripresenta come compratore; ma intanto II, gruppo i, ha 200 Lst. in denaro per comprare e ancora 200 in merce da convertire; quindi, in tutto, 400 da scambiare con I, cosicché 200 Lst. in denaro ritornano a I da II, gruppo 1. Se I le spende nuovamente per acquistare da II, gruppo 1, merce per 200, esse gli ritornano non appena II, gruppo 1, acquisti da I la seconda metà delle 400 in merce. Il gruppo 1 (II) ha speso 200 Lst. in denaro in qualità di puro e semplice compratore di elementi del capitale fisso; esse perciò non gli ritornano, ma servono a monetizzare le 200e in merci residue di II, gruppo 2, mentre a I il denaro, 200 Lst., sborsato per scambio di merci è rifluito non via II, gruppo 2, ma via II, gruppo 1. Per la sua merce di 400, gli è ritornato un equivalente in merce dell'ammontare di 400; le 200 Lst. in denaro da esso anticipate per lo scambio delle 800 in merce gli sono egualmente ritornate - e così tutto è in ordine.
La difficoltà che si era presentata nello scambio:
I: 1.000v +1.000p
II. 2.000c , è stata ricondotta alla difficoltà nello scambio dei resti:
I . . . . . . . . 400,
II. (1) 200 in denaro + 200c in merce + (2) 200c in merce; ovvero, per maggior chiarezza:
I. 200p + 200p
II. (1)200 in denaro + 200c in merce + (2)200c in merce.
Poiché in II, gruppo 1, 200c in merce si sono scambiati contro 200 Ip (merce), e poiché tutto il denaro che circola in questo scambio di 400 in merci fra I e II rifluisce a chi l'ha anticipato, I o II, come elemento dello scambio fra I e II questo denaro non è in realtà un elemento del problema che qui ci tiene occupati. Ovvero, in altri termini: se supponiamo che nello scambio fra 200 Ip (merce) e 200 Ic (merce di II, gruppo 1) il denaro funzioni come mezzo di pagamento, non come mezzo di acquisto, quindi neppure come «mezzo di circolazione» nel senso più stretto, è allora chiaro che, essendo le merci 200 Ip e 200 IIc (gruppo 1) dello stesso ammontare di valore, mezzi di produzione del valore di 200 si scambiano contro mezzi di consumo del valore di 200; che qui il denaro non ha se non una funzione ideale, e che non v'è da gettare realmente in circolazione denaro di sorta, da questa o da quella parte, per regolare il saldo. Il problema appare dunque allo stato puro solo se cancelliamo dalle due parti, I e II, la merce 200 Ip e il suo equivalente, merce 200 IIc (gruppo 1).
Eliminati questi due importi in merce di pari valore (I e II), che si compensano a vicenda, si ha il resto dello scambio, in cui il problema si presenta nella sua purezza, cioè:
I. 200p in merce.
II. (2)200c in denaro + (2)200c in merce.
Qui è chiaro che II, gruppo 1, acquista con 200 in denaro gli elementi del suo capitale fisso 200 Ip; con ciò il capitale di II, gruppo 1, è rinnovato in natura, e il plusvalore di I, Per il valore di 200, è convertito da forma merce (mezzi di produzione, e precisamente elementi fìssi del capitale) in forma denaro. Con questo denaro, I compra da II, gruppo 2, mezzi di consumo, e per II il risultato è che, per il gruppo I, un elemento fisso del suo capitale costante è rinnovato in natura, mentre, per il gruppo 2, un altro elemento, che compensa l'usura di capitale fisso, è precipitato in denaro; e la cosa procede d'anno in anno finché anche questo elemento dev'essere rinnovato in natura.
Ovviamente, qui il presupposto è che questo elemento fisso del capitale costante II, che si è riconvertito in denaro per tutto il suo valore e quindi dev'essere rinnovato ogni anno in natura (gruppo 1), equivalga all'usura annua dell'altro elemento fisso del capitale costante II, che continua a funzionare nella sua vecchia forma naturale, e il cui logorio, la perdita di valore da esso trasferita alle merci che contribuisce a produrre, deve prima essere reintegrato in denaro. Un tale equilibrio apparirebbe perciò come legge della riproduzione su scala invariata; il che significa, in altri termini, che nella sezione I, produttrice di mezzi di produzione, la divisione proporzionale del lavoro deve restare immutata nella misura in cui essa fornisce alla sezione II, da un lato, elementi circolanti del capitale costante, dall'altro elementi fissi.
Prima di approfondire l'esame di questo punto, bisogna esaminare come si presenta la cosa se l'ammontare residuo di IIc(1) non è eguale al residuo di IIc(2), giacché può essere maggiore o minore. Esaminiamo partitamente i due casi.
Primo caso
I. 200p
II. (1)220c (in denaro) + (2)200v (in merce).
Qui, IIc (1) compra con 200 Lst. in denaro le merci 200 Ip, e con lo stesso denaro I compra le merci 200 IIc (2), quindi l'elemento del capitale fisso che deve precipitare in denaro; questo, con ciò, è monetizzato. Ma 20 IIc (1) in denaro non è riconvertibile in natura in capitale fisso.
A questo inconveniente sembra che si possa ovviare ponendo a 220 invece che a 200 il resto di Ip, in modo che dei 2.000 I risultino sistemati grazie alla precedente transazione soltanto 1.780 invece di 1.800.
In questo caso avremmo:
I. 220p.
II. (1)220c (in denaro) + (2)200c (in merce).
IIc, gruppo 1, compra con 220 Lst. in denaro i 220 Ip, poi I compra con 200 Lst. i 200 IIc (2) in merce. Ma allora dal lato di I restano 20 Lst. in denaro, un frammento di plusvalore che esso può soltanto trattenere in denaro, non spendere in mezzi di consumo. Con ciò la difficoltà è solo spostata, da IIc (gruppo 1) a Ip.
Supponiamo ora, d'altra parte, che IIC, gruppo 1, sia minore di IIc, gruppo 2; quindi:
Secondo caso
I. 200p (in merce).
II. (1)180c (in denaro) + (2)200c (in merce).
II (gruppo 1) compra per 180 Lst. in denaro merci 180 Ip; con questo denaro, I compra merci dello stesso valore da II (gruppo 2), quindi 180 IIc (2); restano invendibili, da un lato, 20 Ip e così pure, dall'altro 20 IIc (2); merci del valore di 40 inconvertibili in denaro.
A nulla servirebbe porre il resto I = 180; in tal caso, è vero che in I non rimarrebbe nessuna eccedenza, ma è altrettanto vero che in IIc (gruppo 2) resterebbe come prima invendibile, non convertibile in denaro, un'eccedenza di 20.
Nel primo caso, in cui II (1) è maggiore di II (2), rimane dal lato di IIc (1) un'eccedenza in denaro non riconvertibile in capitale fìsso, ovvero, se si pone il resto Ip = IIc (1), rimane dal lato di Ip la stessa eccedenza in denaro, non convertibile in mezzi di consumo.
Nel secondo caso, in cui II (1) è minore di II (2), rimane dal lato di 200 Ip e llc (2) un deficit in denaro e, da entrambi i lati, un'eguale eccedenza in merce, ovvero, se si pone il resto Ip = IIc (1), un deficit in denaro e un'eccedenza in merce dal lato di IIc (2).
Se poniamo i resti Ip sempre eguali a IIc(1) - poiché le ordinazioni determinano la produzione, e nulla cambia alla riproduzione il fatto che quest'anno vengano prodotti da I più elementi fissi, l'anno dopo più elementi circolanti del capitale costante II -, allora, nel primo caso, Ip sarebbe riconvertibile in mezzi di consumo soltanto se con ciò I comprasse una parte del plusvalore di II, e perciò questo fosse accumulato da II come denaro invece d'essere consumato; nel secondo caso, si ovvierebbe all'inconveniente soltanto se I stesso sborsasse il denaro; dunque l'ipotesi da noi respinta.
Se IIc (1) è maggiore di IIc (2), per la realizzazione dell'eccedenza in denaro in Ip è necessario importare merci dall'estero. Se IIc(1) è minore di IIc(2), è invece necessario esportare merce II (mezzi di consumo) per la realizzazione della parte d'usura Ic, in mezzi di produzione. In entrambi i casi, è quindi necessario il ricorso al commercio estero.
Anche supponendo che, per l'analisi della riproduzione su scala costante, si debba ammettere che la produttività di tutti i rami industria, quindi anche i rapporti proporzionali di valore delle merci da essi prodotte, rimangano invariati, i due casi ora citati, in cui IIc(1) è maggiore o minore di IIc(2), presenterebbero sempre un interesse per la produzione su scala allargata, dove possono indiscutibilmente verificarsi.
3. Risultati.
In merito alla sostituzione del capitale fisso, si deve in genere osservare:
Se - presupposte invariate tutte le altre circostanze, quindi non solo la scala della produzione, ma anche, in particolare, la produttività del lavoro - dell'elemento fisso di IIc si estingue una parte maggiore che nell'almo precedente, quindi anche se ne deve rinnovare in natura una parte maggiore, in tale ipotesi la parte del capitale fisso ancora in via di estinzione, che fino alla sua data di morte dev'essere sostituita temporaneamente in denaro, diminuirà nella stessa proporzione, dato che, secondo l'ipotesi, la somma (anche la somma di valore) della parte fissa del capitale funzionante in II rimane la stessa. Ma ne deriva quanto segue. Primo: quanto è maggiore la parte del capitale merce di I composta di elementi del capitale fisso di IIc, tanto minore sarà quella composta di elementi circolanti di IIc, dato che la produzione totale di I per IIc rimane invariata. Se una delle sue parti cresce, l'altra diminuisce, e viceversa. Ma, d'altro lato, anche la produzione totale della sezione II rimane della medesima grandezza. Com'è possibile ciò, tuttavia, diminuendo le sue materie prime, i suoi semilavorati, le sue materie ausiliarie (cioè gli elementi circolanti del capitale costante II)? Secondo: una parte maggiore del capitale fisso IIc ricostituito in forma denaro affluisce a I per essere riconvertita da forma denaro in forma naturale. Quindi, oltre al denaro circolante fra I e II per il puro e semplice scambio di merci, affluisce ad I una quantità maggiore di denaro; quantità maggiore di denaro che non media uno scambio reciproco di merci, ma appare solo unilateralmente in funzione di mezzo di acquisto. Nello stesso tempo, però, la massa di merci IIc, depositaria della reintegrazione del valore d'usura, sarebbe diminuita in proporzione, quindi lo sarebbe la massa di merci II da convertire non contro merce di I, ma solo contro denaro di I. Una maggiore quantità di denaro sarebbe affluita da II a I come puro e semplice mezzo di acquisto, e vi sarebbe una quantità minore di merce II nei cui confronti I debba fungere come puro e semplice acquirente. Dunque, una parte più grande di Ip - poiché Iv è già convertito in merce II - sarebbe inconvertibile in merce II, ma persisterebbe nella forma denaro.
Dopo quanto si è detto, non è necessario sottoporre ad esame più approfondito il caso inverso, dove in un anno è minore la riproduzione del capitale fisso I definitivamente estinto ed è invece maggiore la parte di usura.
E così si avrebbe crisi - crisi di produzione - pur con riproduzione su scala invariata.
In breve: se nella riproduzione semplice, e a circostanze invariate - quindi, in particolare, essendo invariate la forza produttiva, la grandezza totale e l'intensità del lavoro - non è presupposta una proporzione costante fra il capitale fisso che si estingue (che va rinnovato) e il capitale fisso che continua ad agire nella vecchia forma naturale (che aggiunge valore ai pro- dotti solo a compensazione della sua usura), in un caso la massa di elementi circolanti da riprodurre rimarrebbe la stessa, mentre la massa di elementi fissi da riprodurre sarebbe aumentata, quindi la produzione totale I dovrebbe crescere, o si avrebbe, anche a prescindere dai rapporti monetari, deficit della riproduzione.
Nell'altro caso: se diminuisse la grandezza proporzionale del capitale fisso II da riprodurre in natura, se quindi aumentasse nella stessa proporzione l'elemento del capitale fisso II da sostituire ancora soltanto in denaro, la massa degli elementi circolanti del capitale costante II riprodotti da I rimarrebbe invariata, mentre quella degli elementi fissi da riprodurre sarebbe diminuita. Dunque, o calo della produzione totale I, o eccedenza (come, prima, deficit): e eccedenza non monetizzabile.
È vero che lo stesso lavoro può nel primo caso, con produttività, estensione o intensità aumentate, fornire un prodotto maggiore, il che permetterebbe di coprire il deficit; ma un tale mutamento non potrebbe avvenire senza spostare lavoro o capitale da un ramo di produzione di I negli altri, e ogni spostamento del genere causerebbe perturbazioni temporanee. In secondo luogo (nella misura in cui aumentano l'estensione e l'intensità del lavoro), I dovrebbe scambiare più valore contro meno valore di II; quindi si avrebbe un deprezzamento del prodotto di I.
L'inverso accadrebbe nel secondo caso, in cui I deve contrarre la sua produzione, il che per gli operai e capitalisti ivi occupati significa crisi, oppure fornisce un'eccedenza, il che significa di nuovo crisi. In sé e per sé, tali eccedenze non sono un danno ma un vantaggio; sono tuttavia un danno nella produzione capitalistica.
In tutt'e due i casi, il rimedio potrebb'essere fornito dal commercio estero: nel primo, convertendo in mezzi di consumo la merce I trattenuta in forma denaro; nel secondo, smaltendo l'eccedenza in merce. Ma il commercio estero, nella misura in cui non si limita a sostituire dati elementi (anche quanto al valore), non fa che trasferire le contraddizioni in una sfera più vasta, apre loro un più esteso campo di azione.
Una volta abolita la forma capitalistica della riproduzione, tutto si riduce al fatto che la grandezza della parte del capitale fisso che si estingue e che, quindi, va sostituita in natura (qui, la parte del capitale fisso che opera nella produzione dei mezzi di consumo), varia in diversi anni successivi: se in uno è molto grande (se supera la mortalità media, come per gli uomini), in quello successivo è certo che sarà di tanto minore. Non per questo diminuisce la massa di materie prime, semilavorati e materie ausiliarie, richiesta - supponendo circostanze per il resto invariate - per la produzione annua dei mezzi di consumo; dunque, la produzione totale dei mezzi di produzione dovrebbe crescere in un caso e decrescere nell'altro. Ovviare a ciò è possibile solo con una costante sovraproduzione relativa; da un lato, una certa quantità di capitale fìsso prodotta in più dello strettamente necessarioVI; dall'altro, e soprattutto, una scorta di materie prime ecc. eccedente il fabbisogno annuo immediato (in specie, mezzi di sussistenza). Questo tipo di Sovra- produzione equivale a controllo della società sui mezzi materiali della propria riproduzione. Nell'ambito della società capitalistica, invece, è un fattore di anarchia.
Questo esempio del capitale fìsso - a scala costante della riproduzione - è oltremodo istruttivo. Lo squilibrio fra produzione di capitale fìsso e produzione di capitale circolante è uno degli argomenti prediletti degli economisti per spiegare le crisi. Che un tale squilibrio possa e debba verificarsi in caso di pura e semplice conservazione del capitale fisso; che possa e debba verificarsi nell'ipotesi di una produzione normale ideale, in caso di riproduzione semplice del capitale sociale già in funzione, per essi è qualcosa di nuovo.
Finora si è omesso di considerare un elemento, cioè la riproduzione annua di oro e di argento. In quanto puro e semplice materiale per articoli di lusso, dorature, ecc., non sarebbe qui il caso di farne menzione speciale più che di qualunque altro prodotto. Essi hanno invece una funzione importante come materiale monetario e quindi, potentialiter, come denaro. Come materiale monetario prendiamo, per semplificare, soltanto l'oro.
Secondo dati non molto recenti, la produzione annua d'oro si aggirava su un totale di 8-900.000 libbre = circa 1.100 o 1.250 milioni di marchi. Secondo Soetbeer ( Ad. Soetbeer, Edelmetall-Produktion, Gotha, 1879 [p. 112]), invece, nella media degli anni 1871-1875 essa non superò i 170.675 kg per un valore approssimativo di 476 milioni di marchi. L'Australia ne forniva per circa 167 milioni di marchi, gli Stati Uniti per 166, la Russia per 93: il resto si suddivideva fra diversi paesi per importi inferiori ai 10 milioni ciascuno. Nello stesso periodo, la produzione annua di argento ammontò a qualcosa meno di 2 milioni di kg per un valore di 354,5 milioni di marchi, forniti in cifre tonde per 108 dal Messico, per 102 dagli Stati Uniti, per 67 dall'America del Sud, per 26 dalla Germania, ecc.
Fra i paesi a prevalente produzione capitalistica, sono produttori di oro e argento soltanto gli Stati Uniti; i paesi capitalistici europei ricevono quasi tutto il loro oro e la parte di gran lunga maggiore del loro argento dall'Australia, dagli Stati Uniti, dal Messico, dall'America del Sud e dalla Russia.
Noi però situiamo le miniere aurifere nel paese della produzione capitalistica di cui qui analizziamo la riproduzione annua, e ciò per la seguente ragione:
La produzione capitalistica non esiste in quanto tale senza commercio estero. Ma, supponendo una normale riproduzione annua su scala data, si suppone anche che il commercio estero si limiti a sostituire articoli indigeni con articoli di altra forma d'uso o naturale, senza incidere sui rapporti di valore; quindi neppure sui rapporti di valore in cui le due sezioni dei mezzi di produzione e dei mezzi di consumo scambiano fra loro, e sui rapporti fra capitale costante, capitale variabile e plusvalore, in cui è scomponibile il valore del prodotto di ciascuna di esse. L'inserimento del commercio estero nell'analisi del valore dei prodotti annualmente riprodotto può quindi soltanto confondere le idee, senza fornire nessun elemento nuovo né al problema, né alla sua soluzione. Bisogna dunque astrarne completamente, e trattare anche l'oro come elemento diretto della riproduzione annua, non come elemento merce introdotto dal di fuori tramite loscambio.
La produzione d'oro, come la produzione di ogni altro metallo, appartiene alla sezione I, che abbraccia la produzione dei mezzi di produzione. Supponiamo che l'oro annualmente prodotto sia = 30 (per comodità; in effetti l'ipotesi è esagerata, rispetto alle cifre del nostro schema), e che questo valore sia scomponibile in 20c + 5v + 5p. 0oc sono da scambiare contro altri elementi di lc, e di ciò si tratterà in seguito; ma i 5v + + 5p (I) devono scambiarsi contro elementi di IIc, quindi con mezzi di consumo.
Per quanto concerne i 5v, ogni impresa produttrice d'oro comincia con l'acquistare forza lavoro; non con oro da essa stessa prodotto, ma con una quota del denaro disponibile nel paese. Per questi 5v, gli operai prelevano mezzi di consumo da II, che con questo denaro acquista mezzi di produzione da I. Supposto che II compri da I per 2 di oro come materiale merce ecc. (elemento del suo capitale costante), 2v rifluiscono al produttore d'oro I in denaro che apparteneva già alla circolazione. Se II non acquista da I nessun altro materiale, I acquista da II gettando nella circolazione il suo oro come denaro, poiché l'oro può acquistare ogni merce. La differenza è soltanto che qui I interviene non come venditore, ma solo come compratore.
I produttori d'oro di I possono sempre esitare la loro merce; essa si trova sempre in forma immediatamente permutabile.
Supponiamo che un filatore abbia pagato ai suoi operai 5v, e che essi gli forniscano in cambio - a prescindere dal plusvalore - un filato in prodotto = 5. Gli operai comprano per 5 da IIc, questo acquista da I filato per 5 in denaro; e così 5v rifluiscono in denaro al filatore. Nel caso esaminato, invece, Io (come designeremo il produttore d'oro) anticipa 5v ai suoi operai in denaro che apparteneva già prima alla circolazione; essi spendono il denaro in mezzi di sussistenza; ma, dei 5, soltanto 2 ritornano da II a Io. Tuttavia, Io può ricominciare il processo di riproduzione esattamente come il filatore, perché i suoi operai gli hanno fornito in oro 5, di cui egli ha venduto 2 mentre ne possiede 3 in oro; dunque, non ha che da monetizzarli («Una quantità considerevole di oro in verghe (gold bullion) ... viene portata direttamente dal produttore d'oro alla zecca di S. Francisco». Reports of H. M. Secretaries of Embassy and Legation, 1879, parte III, p. 337) o convertirli in banconote, per ottenere che direttamente, senza ulteriore mediazione di II, tutto il suo capitale sia di nuovo nelle sue mani in forma denaro.
Ma già in questo primo processo della riproduzione annua si è verificato un cambiamento nella massa monetaria che appartiene realmente o virtualmente alla circolazione. Si è supposto che IIc abbia acquistato 2» (Io) come materiale, e che Io abbia speso nuovamente 3 all'interno di II, come forma denaro del capitale variabile. Dunque, della massa monetaria fornita mediante la nuova produzione aurifera, 3 sono rimasti entro II, non sono rifluiti a I. Secondo l'ipotesi, II ha soddisfatto il suo fabbisogno in materiale aureo; i 3 rimangono nelle sue mani come tesoro aureo. Poiché essi non possono costituire degli elementi del suo capitale costante e, inoltre, II aveva già prima un capitale denaro sufficiente per l'acquisto della forza lavoro; poiché d'altra parte, fatta eccezione per l'elemento di usura, questi 30 addizionali non hanno da svolgere alcuna funzione all'interno di IIc, contro una parte del quale sono stati scambiati (potrebbero servire soltanto a coprire prò tanto l'elemento di usura se IIc(1) fosse minore di IIc(2), il che dipende dal caso), ma d'altra parte, appunto con l'eccezione dell'elemento di usura, tutto il prodotto merce di IIc deve scambiarsi contro mezzi di produzione I(v + p -, dato tutto ciò, questo denaro dev'essere interamente trasferito da IIc a IIp, esista quest'ultimo in mezzi di sussistenza necessari o in articoli di lusso, e, viceversa, un valore merce corrispondente dev'essere trasferito da IIp a IIc. Risultato: una parte del plusvalore viene accantonata come tesoro monetario.
Nel secondo anno di riproduzione, se la stessa proporzione dell'oro annualmente prodotto continua ad essere utilizzata come materiale, 2 rifluiranno nuovamente a Io, e 3 saranno sostituiti in natura, cioè messi nuovamente in libertà in II come tesoro, e così via.
Rispetto al capitale variabile in generale: il capitalista lo deve, come ogni altro capitalista, anticipare costantemente questo capitale in denaro per l'acquisto del lavoro. In rapporto a questo v, non lui ma suoi operai devono acquistare da II; non può quindi mai verificarsi il caso che egli intervenga come compratore, quindi getti oro senza l'iniziativa di II per esso. Ma, nella misura in cui II acquista da lui del materiale, nella misura in cui deve convertire il suo capitale costante Ic in materiale aureo, una parte di (Io)v gli rifluisce da II al modo stesso in cui agli altri capitalisti rifluisce da I; e, in quanto non sia questo il caso, egli sostituisce il suo v in oro direttamente dalla sua produzione. Tuttavia, nella misura in cui il v anticipato come denaro non gli rifluisce da II, in II una parte della circolazione già esistente (denaro affluitogli da I e non restituito a I) sarà trasformata in tesoro e in cambio non sarà spesa in mezzi di consumo una parte del suo plusvalore. Poiché si scavano continuamente nuove miniere d'oro o se ne riaprono di vecchie, una data proporzione del denaro che Io deve spendere in v costituisce sempre una parte della massa monetaria esistente prima della nuova produzione aurifera, massa monetaria che Io immette in II tramite i suoi operai e, in quanto non ritorni da II a Io, vi costituisce un elemento della tesaurizzazione.
Quanto però a (Io)p, Io può qui intervenire sempre come compratore; getta nella circolazione il suo -p come oro e ne ritrae in cambio mezzi di consumo IIc; qui l'oro viene in parte utilizzato come materiale, funge perciò da elemento reale della parte costante c del capitale produttivo II; e, ove ciò non accada, ridiviene elemento della tesaurizzazione come parte di IIp persistente in denaro. Qui si dimostra - anche a prescindere dall'Ie di cui ci occuperemo in seguito ( Nel manoscritto non si trova l'analisi dello scambio di oro di nuova produzione all'interno del capitale costante della sezione I. - F. E.)- come, anche nel caso della riproduzione semplice, pur essendo qui esclusa l'accumulazione in senso proprio, cioè riproduzione su scala allargata, sia invece necessariamente compreso l'accantonamento di denaro o tesaurizzazione. E poiché la cosa si ripete ogni anno, si spiega con ciò il presupposto da cui si parte nel- l'analizzare la produzione capitalistica: che cioè, all'inizio della riproduzione, si trovi nelle mani delle classi di capitalisti le II una massa di mezzi monetari corrispondente allo scambio di merci. Tale accantonamento ha luogo anche dopo detrazione dell'oro che va perduto in seguito ad usura del denaro circolante.
Si capisce da sé che più è avanzata l'età della produzione capitalistica, tanto è maggiore la massa di denaro accumulata da tutte le parti, tanto minore quindi l'aliquota aggiunta a questa massa dalla nuova produzione annua d'oro, per quanto possa essere considerevole in quantità assoluta questa aggiunta. In generale vogliamo solo tornare ancora una volta all'obiezione mossa a Tooke VII: com'è possibile che ogni capitalista estragga in denaro un plusvalore dal prodotto annuo, cioè estragga più denaro dalla circolazione di quanto non vi getti, poiché in ultima istanza si deve considerare come fonte della messa in circolazione del denaro la stessa classe capitalistica?
A questo proposito osserviamo, riassumendo quanto svolto già in precedenza (cap. XVII):
1. L'unico presupposto qui indispensabile: che, in generale, sia presente denaro sufficiente per lo scambio dei diversi elementi della massa annua della riproduzione, non è toccato in alcun modo dal fatto che una parte del valore delle merci consista in plusvalore. Se, per ipotesi, tutta la produzione appartenesse agli operai, e quindi il loro pluslavoro fosse soltanto pluslavoro per se stessi, non per i capitalisti, la massa del valore delle merci circolante non varierebbe e, restando immutate le altre condizioni, chiederebbe per la sua circolazione la stessa quantità di denaro. In entrambi i casi, dunque, ci si chiede unicamente: da dove viene il denaro per lo scambio di questo valore complessivo delle merci? E non già: da dove viene il denaro per monetizzare il plusvalore?
Invero, per ritornarci sopra ancora una volta, ogni singola merce consta di c + v + p; quindi, per la circolazione dell'intera massa di merci è necessaria, da un lato, una data somma di denaro ai fini della circolazione del capitale c + v e, dall'altro, un'altra somma di denaro ai fini della circolazione del reddito dei capitalisti, del plusvalore p. Come per i capitalisti singoli, così per l'intera classe, il denaro in cui essa anticipa capitale è diverso dal denaro in cui spende reddito. Da dove proviene quest'ultimo denaro? Semplicemente da ciò che, della massa complessiva di denaro in mano alla classe capitalistica, quindi, grosso modo, della massa complessiva di denaro esistente nella società, una parte fa circolare il reddito dei capitalisti. E si è già visto che ogni capitalista il quale inizi una nuova impresa ripesca di nuovo il denaro speso in mezzi di sussistenza per il suo sostentamento, come denaro che serve alla monetizzazione del suo plusvalore, non appena l'impresa stessa sia avviata. Ma, in linea generale, l'intera difficoltà nasce da due fonti:
Primo: se ci limitiamo a considerare la circolazione e la rotazione del capitale, quindi anche se ci limitiamo a considerare il capitalista come personificazione del capitale - non come consumatore e gaudente capitalistico -, lo vediamo bensì gettare continuamente nella circolazione plusvalore come elemento del suo capitale merce, ma non gli vediamo mai nelle mani il denaro come forma del reddito; non lo vediamo mai gettare nella circolazione denaro a fini di consumo del plusvalore.
Secondo: se la classe capitalistica getta nella circolazione una certa somma di denaro nella forma di reddito, sembra che essa paghi un equivalente per tale parte dell'intero prodotto annuo, e che questa cessi perciò di rappresentare plusvalore. Ma il plusprodotto in cui si rappresenta il plusvalore, alla classe dei capitalisti non costa nulla. In quanto classe, essa lo possiede e ne gode gratis, e a ciò la circolazione monetaria non può cambiare nulla. L'unico mutamento che si verifichi per l'intermediario di quest'ultima consiste nel fatto che ogni capitalista, invece di consumare in natura il suo plusprodotto, cosa per lo più inattuabile, estrae e si appropria dallo stock complessivo del plusprodotto sociale annuo ogni sorta di merci per l'ammontare del plusvalore che si è appropriato. Ma il meccanismo della circolazione ha messo in luce che la classe capitalistica, se getta denaro nella circolazione per spendere reddito, le sottrae anche di nuovo il medesimo denaro, può quindi ricominciare sempre di nuovo il medesimo processo; che quindi, come classe capitalistica, rimane sempre in possesso della somma di denaro necessaria per monetizzare il plusvalore. Se perciò non solo il plusvalore in forma di merci viene sottratto dal capitalista al mercato delle merci per il suo fondo di consumo, ma nello stesso tempo il denaro con cui egli compra queste merci gli rifluisce, è chiaro che egli avrà sottratto le merci alla circolazione senza equivalente. Esse non gli costano nulla, sebbene le paghi con denaro. Se acquisto delle merci con una sterlina, e il venditore della merce mi restituisce la sterlina per un plusprodotto che non mi è costato nulla, è evidente che ho ricevuto la merce gratis. La ripetizione continua di questa operazione non toglie che io sottragga costantemente delle merci e resti costantemente in possesso della sterlina, anche se temporaneamente me ne sbarazzo per l'acquisto delle merci. Il capitalista continua a ricevere indietro questo denaro come monetizzazione di plusvalore che non gli è costato nulla.
Abbiamo visto come, in A. Smith, l'intero valore del prodotto sociale si risolva in reddito, in v + p; come, quindi, il valore capitale costante sia posto eguale a zero. Ne segue necessariamente che il denaro richiesto per la circolazione del reddito annuo è anche sufficiente per la circolazione dell'intero prodotto annuo; che perciò, nel nostro caso, il denaro necessario per la circolazione dei mezzi di consumo del valore di 3.000 è sufficiente per far circolare l'intero prodotto annuo del valore di 9.000. È questa in realtà l'opinione di A. Smith, e Th. Tooke la ripete. Questa concezione errata del rapporto fra la massa monetaria richiesta per monetizzare il reddito e la massa monetaria che fa circolare l'intero prodotto sociale, è un risultato necessario del modo illogico e superficiale d'intendere la riproduzione e sostituzione annua dei diversi elementi, materiali e di valore, del prodotto totale annuo. Essa è stata perciò già confutata.
Ascoltiamo gli stessi Smith e Tooke.
Dice A. Smith, Book II, cap. 2
«La circolazione di ogni paese si può considerare come divisa in due diversi rami: la circolazione fra i commercianti e la circolazione fra i commercianti e i consumatori. Sebbene le stesse unità monetarie, sia di carta che di metallo, possano essere impiegate ora nell'uno ora nell'altro ramo della circolazione, dato che ambedue i rami procedono esattamente nello stesso tempo, ognuno richiede un certo capitale monetario, dell'uno o dell'altro tipo, per essere condotto innanzi. Il valore delle merci che circolano fra i diversi commercianti non può mai superare quello delle merci che circolano fra i commercianti e i consumatori, dato che quello che è comprato dai commercianti è destinato, in definitiva, ad essere venduto ai consumatori. La circolazione che si svolge fra i commercianti, essendo condotta per affari all'ingrosso, richiede in genere una somma abbastanza forte per ogni singola operazione. Quella che, invece, si svolge fra i commercianti e i consumatori, essendo condotta per affari al minuto, non richiede spesso che somme molto piccole, e uno scellino, o anche un mezzo penny, è spesso sufficiente. Ma le somme piccole circolano molto più velocemente delle grandi [...]. Sebbene, quindi, gli acquisti annui di tutti i consumatori siano di un valore almeno» (buono, questo «almeno»!) «eguale a quelli di tutti i commercianti, essi possono, in genere, essere effettuati con una quantità di denaro molto più piccola», ecc.
A questo brano di Adam, Th. Tooke osserva (An Inquiry into the Currency Principle, Londra, 1844, pp. 34-36 passim):
«Non v'è dubbio che la distinzione che qui si fa è sostanzialmente giusta. Lo scambio fra commercianti e consumatori comprende anche il pagamento del salario, che forma il principale introito (the prin- cipal means) dei consumatori [...]. Tutti gli scambi fra commerciante e commerciante, cioè tutte le vendite ad opera del produttore o dell'importatore, attraverso tutti i gradini dei processi intermedi della manifattura, ecc., giù giù fino al dettagliante o all'esportatore, possono risolversi in movimenti di trasferimento di capitale. Ma i trasferimenti di capitale non presuppongono necessariamente, né in realtà comportano, nella gran massa degli scambi, una vera e propria cessione di banconote o monete - voglio dire una cessione materiale, non simbolica - all'atto del trasferimento... L'ammontare complessivo degli scambi fra commercianti e commercianti deve essere determinato e delimitato, in ultima istanza, dall'ammontare degli scambi fra commercianti e consumatori».
Se l'ultima frase stesse isolata, si potrebbe credere che Tooke si limiti a constatare che esiste un rapporto fra gli scambi da commerciante a commerciante e quelli da commerciante a consumatore; in altre parole, fra il valore dell'intero reddito annuo e il valore del capitale con cui esso viene prodotto. Ma le cose non stanno così. Egli si dichiara apertamente per la concezione di A. Smith. Una critica particolare della sua teoria della circolazione è quindi superflua.
2. Ogni capitale industriale al suo inizio getta in circolazione in una volta sola, per tutto il suo elemento fisso, denaro che ne ritrae solo gradualmente in una serie d'anni mediante la vendita del suo prodotto annuo. In un primo momento, quindi, getta nella circolazione più denaro di quanto non le sottragga. La cosa si ripete ogni volta al rinnovo in natura del capitale complessivo; si ripete ogni anno per un dato numero di imprese il cui capitale fisso dev'essere rinnovato in natura; si ripete poco per volta ad ogni riparazione, ad ogni rinnovo soltanto parziale del capitale fisso. Se dunque, da un lato, si sottrae alla circolazione più denaro di quanto non vi si sia gettato, dall'altro accade l'inverso.
In tutti i rami di industria, il cui periodo di produzione (in quanto diverso dal periodo di lavoro) abbraccia un tempo abbastanza lungo, nel corso dello stesso i produttori capitalistici gettano costantemente denaro nella circolazione, sia in pagamento della forza lavoro impiegata, sia in acquisto dei mezzi di produzione da utilizzare; mezzi di produzione vengono in tal modo sottratti direttamente al mercato delle merci, e ne vengono sottratti mezzi di consumo sia indirettamente, tramite gli operai che spendono il loro salario, sia direttamente, tramite i capitalisti che non sospendono affatto il loro consumo, senza che questi capitalisti gettino dapprima sul mercato, nello stesso tempo, un equivalente in merci. Durante questo periodo, il denaro da essi gettato in circolazione serve a monetizzare il valore delle merci, compreso il plusvalore ivi contenuto. In una produzione capitalistica sviluppata, questo elemento assume una grande importanza nel caso di imprese a lungo respiro condotte a termine da società per'azioni, ecc., come costruzione di ferrovie, canali, docks, grandi edifici cittadini, navi in ferro, bonifiche agrarie su vasta scala e così via.
3. Mentre gli altri capitalisti, a prescindere dall'esborso in capitale fisso, estraggono dalla circolazione più denaro di quanto non ve n'abbiano gettato nella compera della forza lavoro e degli elementi circolanti, i capitalisti che producono oro e argento, a prescindere dal metallo nobile che serve come materia prima, gettano nella circolazione soltanto denaro, mentre le sottraggono soltanto merci. Il capitale costante, eccettuati la parte d'usura, la maggior parte del capitale variabile e l'intero plusvalore, con l'eccezione del tesoro che eventualmente si accumuli nelle loro mani, viene gettato come denaro nella circolazione.
4. Da un lato, è vero, circolano come merci ogni sorta di cose che non sono state prodotte entro l'anno, terreni, case, ecc., e inoltre prodotti il cui periodo di produzione si estende su più di un anno, bestiame, legname, vino, ecc. Per questi ed altri fenomeni, è importante non perdere di vista che, oltre alla somma di denaro necessaria per la circolazione immediata, se ne trova sempre una certa quantità in stato latente, inoperoso, che può, non appena se ne offra il destro, entrare in funzione. Spesso, il valore di tali prodotti circola anche a poco a poco e per frazioni successive, come il valore delle case nell'affitto di una serie d'anni.
Dall'altro lato, non tutti i movimenti del processo di riproduzione vengono mediati da circolazione di denaro. L'intero processo di produzione, una volta acquisiti i suoi elementi, ne è escluso, come lo è ogni prodotto consumato direttamente dallo stesso produttore - sia in modo individuale, sia in modo produttivo; e in questa categoria rientra il sostentamento in natura dei lavoratori agricoli.
Dunque, la massa monetaria che fa circolare il prodotto annuo è presente nella società, vi si è accumulata via via: non appartiene al valore prodotto quest'anno, eccettuato forse l'oro per la sostituzione di monete logorate.
In questa esposizione si è presupposta circolazione esclusiva di denaro in metalli nobili e, in essa, la forma più semplice di acquisti e vendite in contanti, benché, sulla base della pura e semplice circolazione metallica, il denaro possa anche funzionare come mezzo di pagamento, e tale funzione abbia storicamente svolto; e benché su questa base si siano sviluppati un sistema del credito e dati aspetti del suo meccanismo.
Questo presupposto non poggia soltanto su considerazioni metodologiche, il cui peso risulta dal fatto stesso che sia Tooke e la sua scuola, sia i loro avversari, furono continuamente costretti - nelle controversie sulla circolazione di banconote - a rifarsi all'ipotesi di una circolazione puramente metallica. Vi furono costretti post festum, ma lo fecero in modo assai superficiale, e le cose dovevano andare necessariamente così, perché in tal maniera il punto di partenza ha solo il ruolo di un punto accessorio nell'analisi.
Ma il più semplice esame della circolazione monetaria rappresentata nella sua forma primordiale - e questa è, qui, un elemento immanente del processo di riproduzione annuo - mostra che:
a) Presupponendo una produzione capitalistica sviluppata, quindi il dominio del sistema del lavoro salariato, il capitale denaro svolge chiaramente una parte essenziale, in quanto è la forma in cui viene anticipato il capitale variabile. Nella misura in cui si sviluppa il sistema del lavoro salariato, ogni prodotto si trasforma in merce; deve quindi - con qualche importante eccezione - compiere nel suo insieme anche la metamorfosi in denaro come fase del suo movimento. La massa del denaro circolante deve bastare per questa monetizzazione delle merci, e la frazione di gran lunga maggiore di questa massa viene fornita nella forma del salario, del denaro che, anticipato da capitalisti industriali in pagamento della forza lavoro come forma denaro del capitale variabile, funziona in mano agli operai - nella sua gran massa - solo come mezzo di circolazione (di acquisto). E ciò contrasta totalmente con l'economia naturale così come predomina sulla base di ogni sistema di servaggio (compresa la servitù della gleba) e, a maggior ragione, di comunità più o meno primitive, siano o no combinate con rapporti di sudditanza o schiavitù.
Nel sistema schiavistico, il capitale denaro speso nell'acquisto della forza lavoro svolge la funzione di forma denaro del capitale fisso, che viene sostituito solo gradualmente, una volta trascorso il periodo attivo di vita dello schiavo. Perciò presso gli ateniesi l'utile ricavato da un proprietario di schiavi, o direttamente mediante impiego industriale del suo schiavo, o indirettamente mediante sua cessione in affitto ad altri imprenditori industriali (ad es. per il lavoro in miniera), è anche considerato soltanto come interesse (più ammortamento) del capitale denaro anticipato, esattamente come, nella produzione capitalistica, il capitalista industriale computa come interesse e ammortamento del suo capitale fisso una frazione del plusvalore più il logorio dello stesso capitale fisso, e tale è la regola anche presso capitalisti che danno in locazione il capitale fisso (case, macchine, ecc.). Non si considerano qui i puri e semplici schiavi domestici, forniscano essi servizi necessari o servano solo per dar sfoggio di lusso; essi corrispondono alla nostra classe dei domestici. Ma anche il sistema schiavistico - nella misura in cui, in agricoltura, manifattura, navigazione ecc., è la forma dominante del lavoro produttivo, come negli Stati evoluti della Grecia e in Roma - conserva un elemento dell'economia naturale. Lo stesso mercato degli schiavi riceve un apporto costante di merce-forza lavoro dalla guerra, dalla pirateria ecc., e questa rapina, a sua volta, non è mediata da un processo di circolazione, ma è appropriazione in natura di forza lavoro straniera mediante coercizione fisica diretta. Anche negli Stati Uniti, dopo che il territorio compreso fra gli Stati a lavoro salariato del Nord e quelli schiavisti del Sud si trasformò in terreno di cultura di schiavi per il Sud, dove perciò lo schiavo gettato sul mercato degli schiavi divenne esso stesso un elemento della riproduzione annua, per un periodo piuttosto lungo ciò non fu sufficiente, e si continuò, finché possibile, ad esercitare la tratta di schiavi africani a soddisfacimento dei bisogni del mercato.
b) I flussi e riflussi di denaro, che si verificano in modo naturale e spontaneo sulla base della produzione capitalistica, nello scambio del prodotto annuo; gli anticipi di capitali fissi compiuti in una sola volta, per tutto il loro ammontare di valore, e il ritiro successivo, esteso su periodi pluriennali, del loro valore dalla circolazione, quindi anche la loro ricostituzione graduale in forma denaro mediante tesaurizzazione annua, tesaurizzazione totalmente diversa per sua natura da quella che si svolge parallelamente ad essa e si fonda sulla produzione annua di nuovo oro; la durata variabile del tempo in cui, secondo la lunghezza dei periodi di produzione delle merci, si deve anticipare denaro, quindi anche tesaurizzarlo sempre di nuovo prima di poterlo ritirare dalla circolazione mediante vendita della merce; la durata variabile del tempo di anticipazione derivante anche solo dalla diversa distanza del luogo di produzione dal mercato di sbocco; infine, le differenze, in volume e periodo, del riflusso secondo lo stato e la grandezza relativa delle scorte di produzione in diverse imprese e presso i diversi capitalisti singoli del medesimo ramo d'industria, quindi le scadenze diverse degli acquisti di elementi del capitale costante - e tutto ciò durante l'anno di riproduzione: l'insieme di questi diversi fattori del movimento naturale e spontaneo non ha bisogno che d'essere reso tangibile grazie all'esperienza, per dare un impulso sistematico sia agli espedienti meccanici del sistema del credito, sia all'effettivo reperimento dei capitali disponibili per il prestito.
Vi si aggiunge la differenza fra le imprese la cui produzione, in circostanze per il resto invariate, si svolge continuativamente sulla stessa scala, e quelle che in periodi diversi dell'anno impiegano forza lavoro in quantità variabili, come l'agricoltura.
Valga come esempio della confusa e, insieme, pretenziosa faciloneria degli economisti nell'analizzare la riproduzione sociale, il grande logico Destutt de Tracy (cfr. Libro I, p. 147, nota 30) che lo stesso Ricardo prende sul serio e chiama a very distin- guished writer, un distintissimo scrittore (Principies, p. 333).
Questo distinto scrittore giunge, a proposito del processo di riproduzione e circolazione sociale complessivo, alle seguenti conclusioni:
«Ci si chiederà come gli imprenditori industriali possano fare cosi grandi profitti, e da chi possano ricavarli. Rispondo che li fanno vendendo tutto ciò che producono più caro di quanto non sia loro costato il produrlo,
1) gli uni agli altri, per tutta la parte del loro consumo destinata a soddisfare i loro bisogni, che essi pagano con una frazione dei loro profitti;
2) ai lavoratori salariati, sia a quelli che essi stessi assoldano, sia a quelli assoldati dai capitalisti oziosi; dai quali lavoratori salariati, così, ricevono indietro la totalità dei salari, eccettuati i piccoli risparmi che quelli possono fare;
3) ai capitalisti oziosi, che li pagano con la parte del proprio reddito non ceduta già ai salariati che impiegano direttamente; cosicché, per l'una o per l'altra via, tutta la rendita che quelli» (i capitalisti industriali) «annualmente versano a questi» (i capitalisti oziosi) «torna nelle loro mani». (Destutt de Tracy, Traité de la volontà et de ses effets, Parigi, 1826, p. 239)
Dunque, 1), i capitalisti si arricchiscono imbrogliandosi tutti insieme a vicenda nello scambio della parte di plusvalore che riservano al proprio consumo privato, o che divorano come reddito. Ne segue che se questa parte del loro plusvalore, rispettivamente dei loro profìtti, è = 400 Lst., queste diventano, poniamo, 500 per il fatto che ognuno dei compartecipi alle 400 Lst. vende all'altro la sua parte con una maggiorazione del 25%. Poiché tutti fanno la stessa cosa, il risultato è il medesimo che se quella parte se la fossero venduta a vicenda al giusto valore. Hanno soltanto bisogno, per far circolare un valore merci di 400 Lst., di una massa monetaria di 500 Lst., e questo sembra un metodo non tanto per arricchirsi, quanto per ridursi in miseria, dato che devono conservare improduttivamente, nell'inutile forma di mezzi di circolazione, una gran parte del loro patrimonio totale. Il tutto si riduce a ciò, che la classe dei capitalisti, malgrado il rincaro nominale di tutte le sue merci, ha da ripartirsi per il proprio consumo privato soltanto uno stock di merci del valore di 400 Lst., ma i suoi membri si rendono il vicendevole servizio di far circolare un valore merce di 400 Lst. con la massa di denaro necessaria per un valore merce di 500.
Prescindiamo poi dal fatto che qui si presuppone «una parte dei profitti» e quindi, in generale, una scorta di merci in cui si rappresenti il profitto. Ma Destutt vuole spiegarci appunto l'origine di questo profitto: la quantità di denaro richiesta per farlo circolare è questione del tutto secondaria. La massa di merci in cui si rappresenta il profitto sembra trarre origine dal fatto che i capitalisti non solo se la vendono l'un l'altro, cosa già di per sé bella e profonda, ma se la vendono tutti a vicenda ad un prezzo eccessivo. Dunque, ora conosciamo una delle fonti di arricchimento dei capitalisti. Essa si riassume nel segreto dell'«Entspektor Bràsig» la grande Armut deriva dalla grande pauvreté VIII.
2) Inoltre, gli stessi capitalisti vendono
«ai lavoratori salariati, sia a quelli che essi stessi assoldano, sia a quelli assoldati dai capitalisti oziosi; dai quali lavoratori salariati, cosi, ricevono indietro la totalità dei salari, eccettuati i piccoli risparmi che quelli possono fare».
Secondo il signor Destutt, il riflusso ai capitalisti del capitale denaro nella cui forma hanno anticipato il salario agli operai costituisce, dunque, la seconda fonte di arricchimento per quei capitalisti.
Se quindi la classe capitalistica ha pagato agli operai, diciamo, 100 Lst. in salario e, successivamente, gli stessi operai le comprano delle merci per lo stesso valore di 100 Lst.; se perciò la somma di 100 Lst. che i capitalisti hanno anticipato come compratori di forza lavoro rifluisce ad essi con la vendita agli operai di merci per 100 Lst., in tal modo i capitalisti si arricchiscono. Dal punto di vista del comune buonsenso, sembrerebbe che, grazie a questa procedura, i capitalisti si ritrovino in possesso delle 100 Lst. possedute prima dell'operazione. All'inizio di questa possedevano 100 Lst. in denaro e, in cambio, hanno comprato forza lavoro per 100. Per queste 100 Lst. in denaro, il lavoro acquistato produce, a quanto ne sappiamo finora, merci del valore di 100 Lst. Vendendo merci per 100 Lst. agli operai, i capitalisti recuperano 100 Lst. in denaro. Dunque, i capitalisti possiedono di nuovo 100 Lst. in denaro; gli operai, invece, 100 Lst. in merci da essi stessi prodotte. Come, in tal modo, i capitalisti possano arricchirsi, lo capisca chi può. Se le 100 Lst. in denaro non rifluissero loro, essi avrebbero dovuto, primo, versare agli operai 100 Lst. per il loro lavoro, e, secondo, dar loro gratis il prodotto di questo lavoro, mezzi di consumo per 100 Lst. Dunque, il riflusso può spiegare al massimo perché i capitalisti non impoveriscano in seguito a questa operazione; in nessun modo perché arricchiscano.
Certo, un altro problema è come i capitalisti posseggano le 100 Lst. in denaro, e perché gli operai siano costretti a scambiare contro quelle 100 Lst. la propria forza lavoro, invece di produrre merci per loro conto. Ma, per un pensatore del calibro di Destutt, sono cose che si capiscono da sé.
Di questa soluzione, tuttavia, lo stesso Destutt non è completamente soddisfatto. Egli non ci ha detto che ci si arricchisce perché si dà via una somma in denaro di 100 Lst. e poi se ne riprende una di 100 Lst.; dunque grazie al riflusso di 100 Lst. in denaro, che mostra solo per qual ragione le 100 Lst. in denaro non si siano perdute. No, ci ha detto che i capitalisti si arricchiscono
«vendendo tutto ciò che producono più caro di quanto non sia loro costato il produrlo».
Dunque, nella loro transazione con gli operai, i capitalisti devono pure arricchirsi vendendo loro più caro. Splendido!
«Essi pagano un salario [...] e tutto ciò ritorna nelle loro mani grazie alle spese fatte da tutte queste persone, che pagano loro i prodotti più cari di quanto non siano loro» (ai capitalisti) «costati a causa di quel salario» (p. 240).
Quindi, i capitalisti pagano agli operai 100 Lst. in salario, poi vendono agli operai il loro stesso prodotto a 120 Lst., e così non solo le 100 Lst. rifluiscono nelle loro mani, ma per di più essi ci guadagnano 20 Lst.? Impossibile! Gli operai possono pagare soltanto col denaro ricevuto sotto forma di salario. Se hanno ricevuto in salario dai capitalisti 100 Lst., possono solo pagare per 100, non per 120. Dunque, così la cosa non va. Ma esiste pure un'altra via. Gli operai, cioè, comprano dai capitalisti merci per 100 Lst., ma in effetti ricevono soltanto merci per un valore di 80 Lst. Sono dunque stati truffati di 20 Lst. tonde. E il capitalista si è arricchito di 20 Lst. tonde, avendo in realtà pagato la forza lavoro il 20% sotto il suo valore, o avendo sottratto al salario nominale, con un giro di mano, il 20%.
Il risultato al quale giungerebbe la classe capitalistica sarebbe lo stesso se, prima, non versasse agli operai che 80 Lst. in salario, poi per queste 80 Lst. in denaro fornisse loro, in effetti, un valore merce di 80 Lst. Se si considera l'intera classe, questa sembra la via normale, dato che, stando allo stesso signor Destutt, la classe operaia deve ricevere «un salario sufficiente» (p. 219) che basti almeno per mantenere la propria esistenza e capacità di lavoro, «per procurarsi la più stretta sussistenza» (p. 180). Se gli operai non ricevono salari sufficienti, questo, secondo lo stesso Destutt, è «la mort de l'industrie» (p. 208); dunque, a quanto pare, non è un mezzo di arricchimento per i capitalisti. Ma, qualunque sia il livello dei salari che la classe capitalistica paga alla classe operaia, essi hanno un valore dato, per esempio 80 Lst. Se dunque la classe capitalistica paga agli operai 80 Lst., per queste 80 Lst. deve fornir loro 80 Lst. in valore merci, e il riflusso delle 80 Lst. in denaro non la arricchisce né punto né poco. Se versasse loro in denaro 100 Lst. e, per 100 Lst., vendesse loro un valore merce di 80 Lst., verserebbe loro in denaro il 25% in più del salario nominale e, in cambio, fornirebbe loro in merci il 25% in meno.
In altre parole: il fondo dal quale la classe capitalistica in genere attinge il suo profitto sarebbe costituito da una detrazione dal salario normale, dal pagamento della forza lavoro al disotto del suo valore, cioè al disotto del valore dei mezzi di sussistenza necessari per la normale riproduzione degli operai in quanto salariati. Se quindi, come deve avvenire secondo Destutt, fosse pagato il salario normale, non esisterebbe nessun fondo di profitto né per gli industriali, né per i capitalisti oziosi.
Perciò il signor Destutt avrebbe dovuto ridurre tutto il segreto di come si arricchisce la classe dei capitalisti ad una detrazione dal salario. Gli altri fondi del plusvalore, di cui egli parla sub 1 e sub 2, allora non esisterebbero.
Dunque, in tutti i paesi nei quali il salario in denaro degli operai si riduce al valore dei mezzi di consumo necessari perché sussistano come classe, non esisterebbe per i capitalisti nessun fondo di consumo e nessun fondo di accumulazione, quindi nessun fondo di esistenza della classe capitalistica; conclusione, non esisterebbe neppure una classe di capitalisti. E in realtà, secondo Destutt, appunto questo sarebbe il caso in tutti i paesi ricchi e sviluppati di antica civiltà, perché qui,
«nelle nostre società dalle antiche radici, il fondo dal quale si attinge il salario... è una grandezza pressoché costante» (p. 202).
Anche in caso di detrazione dal salario, tuttavia, l'arricchimento dei capitalisti non deriva dal fatto che prima pagano all'operaio 100 Lst. in denaro, poi gli forniscono in cambio 80 Lst. in merci, dunque fanno circolare 80 Lst. in merce mediante la somma in denaro di 100 Lst., superiore del 25% al richiesto; ma dal fatto che, del prodotto dell'operaio, il capitalista si appropria, oltre al plusvalore - alla parte del prodotto in cui si rappresenta il plusvalore -, anche il 25% della parte che dovrebbe spettare all'operaio in forma salario. Nel modo assurdo in cui Destutt concepisce la faccenda, la classe capitalistica non guadagnerebbe assolutamente nulla. Paga 100 Lst. in salario e, per esse, restituisce all'operaio, del suo proprio prodotto, un valore merce di 80 Lst. Ma, nell'operazione successiva, deve di nuovo anticipare 100 Lst. Dunque, non fa a sé stessa che l'inutile favore di anticipare 100 Lst. in denaro e fornire in cambio 80 Lst. in merce, invece di anticiparne 80 in denaro e fornirne in cambio 80 in merce. In altri termini, continua inutilmente ad anticipare, per la circolazione del suo capitale variabile, un capitale denaro grande di troppo nella misura del 25% - un metodo affatto peculiare di arricchirsi.
3) Infine, la classe capitalistica vende
«ai capitalisti oziosi, che pagano con la parte del proprio reddito non ceduta già ai salariati che impiegano direttamente; cosicché, per luna o per l'altra via, tutta la rendita che annualmente essa versa loro» (agli oziosi) «torna nelle sue mani».
Prima si era visto che i capitalisti industriali
«pagano con una frazione dei loro profitti tutta la parte del loro consumo destinata a soddisfare i loro bisogni».
Dunque, posto che i loro profitti siano = 200 Lst., mettiamo che ne consumino 100 per il proprio consumo individuale. Ma l'altra metà, = 100 Lst., non appartiene loro, bensì ai capitalisti oziosi, cioè ai detentori di rendite fondiarie e ai capitalisti che prestano dietro interesse. A questa congrega essi devono quindi pagare 100 Lst. Diciamo ora che, su quel denaro, costoro abbiano bisogno di 80 Lst. per il loro consumo e di 20 per l'acquisto di domestici, ecc. Con le 80 Lst. comprano dunque mezzi di consumo dai capitalisti industriali. A questi ultimi, mentre se ne allontanano 80 Lst. in prodotti, rifluiscono così 80 Lst. in denaro, ossia i 4/5 delle 100 Lst. che avevano versato ai capitalisti oziosi sotto il nome di rendita, interesse, ecc. Inoltre, la classe dei domestici, dei salariati diretti dei capitalisti oziosi, ha ricevuto dalle lor signorie 20 Lst., con cui acquista a sua volta per 20 Lst. mezzi di consumo dai capitalisti industriali. Così, a questi ultimi, mentre se ne allontanano 20 Lst. in prodotto, ne rifluiscono 20 in denaro, ossia l'ultimo quinto delle 100 Lst. in denaro che avevano pagato come rendita, interesse, ecc., ai capitalisti oziosi.
Alla fine della transazione, ai capitalisti industriali sono rifluite le 100 Lst. in denaro che avevano cedute ai capitalisti oziosi in pagamento di rendita, interesse, ecc., mentre la metà del loro plusprodotto = 100 Lst. è passata dalle loro mani nel fondo di consumo dei capitalisti oziosi.
Per la questione qui considerata, è, dunque chiaramente superfluo tirare in ballo la divisione delle 100 Lst. fra i capitalisti oziosi e i loro salariati diretti. La cosa è semplice: le loro rendite, i loro interessi, insomma la parte loro spettante del plusvalore = 200 Lst., viene loro pagata dai capitalisti industriali in denaro, in 100 Lst. Con queste 100 Lst. essi comprano mezzi di consumo, direttamente o indirettamente, dai capitalisti industriali. Danno loro indietro 100 Lst. in denaro, sottraggono loro mezzi di consumo per 100 Lst.
Il riflusso delle 100 Lst. in denaro pagate dai capitalisti industriali ai capitalisti oziosi è così avvenuto. È questo riflusso di denaro un mezzo di arricchimento per i capitalisti industriali, come vaneggia Destutt? Prima della transazione, essi possedevano una somma di valore di 200 Lst., di cui 100 in denaro e 100 in mezzi di consumo. Dopo la transazione, posseggono soltanto la metà della somma di valore originaria. Hanno di nuovo le 100 Lst. in denaro, ma hanno perduto le 100 Lst. in mezzi di consumo, che sono passate nelle mani dei capitalisti oziosi. Si sono perciò impoveriti di 100 Lst. invece di arricchirsi di 100 Lst. Se, invece di seguire la via traversa consistente nel pagare 100 Lst. in denaro per poi riceverle indietro in pagamento di mezzi di consumo per zoo Lst., avessero pagato rendita, interesse, ecc., direttamente nella forma naturale del loro prodotto, dalla circolazione non rifluirebbero loro 100 Lst. in denaro, perché non vi avrebbero gettato 100 Lst. in denaro. Per la via del pagamento in natura, la cosa si sarebbe presentata semplicemente così: del plusprodotto per un valore di 200 Lst. essi avrebbero trattenuto per sé la metà e ne avrebbero ceduto l'altra senza equivalente ai capitalisti oziosi. Neppure un Destutt avrebbe potuto sentirsi tentato a spiegare ciò come un mezzo per arricchirsi.
Naturalmente, la terra e il capitale presi in affitto dai capitalisti oziosi, e per i quali i capitalisti industriali devono pagar loro una parte del plusvalore sotto forma di rendita fondiaria, interesse, ecc., hanno fruttato a questi ultimi, in quanto sono stati una delle condizioni della produzione sia del prodotto in generale, sia della parte del prodotto che costituisce il plusprodotto, o in cui si rappresenta il plusvalore. Questo profitto scaturisce dall'impiego della terra e del capitale presi a prestito, non dal prezzo che per ciò si paga; prezzo che semmai ne costituisce una detrazione. Oppure si dovrebbe sostenere che i capitalisti industriali, invece di arricchirsi, si impoverirebbero, se potessero trattenere per sé l'altra metà del plusvalore invece di cederla. Ma tale è la confusione a cui porta il fare un solo fascio di fenomeni della circolazione come il riflusso del denaro, da un lato, e della divisione del prodotto che da tali fenomeni circolatori è soltanto mediata, dall'altro.
Eppure lo stesso Destutt è tanto acuto da osservare:
«Da dove vengono a questa gente i suoi redditi? Non forse dalla rendita che le pagano sui propri profitti coloro che ne fanno lavorare i capitali, cioè coloro che, con i suoi fondi, assoldano un lavoro il quale produce più di quanto non costi: in una parola, i capitalisti industriali? È sempre a questi ultimi, perciò, che si deve risalire per trovare la fonte di ogni ricchezza. Sono essi, in realtà, a nutrire i salariati che gli altri occupano» (p. 246).
Dunque, ora il pagamento di questa rendita, ecc., è detrazione dal profitto degli industriali. Prima, era per essi un mezzo di arricchimento!
Una consolazione è tuttavia rimasta, al nostro Destutt. Questi bravi industriali si comportano con gli industriali oziosi come si erano comportati gli uni con gli altri e verso gli operai. Vendono loro più cara ogni merce - per es., del 20%. Ora delle due l'una. O gli oziosi, oltre alle 100 Lst. che ricevono annualmente dagli industriali, possiedono ancora altri mezzi monetari, o no. Nel primo caso, gli industriali vendono loro merci e valori da 100 Lst. al prezzo, diciamo, di 120. Dunque, con la vendita delle loro merci, rifluiscono nelle loro mani non soltanto le 100 Lst. pagate agli oziosi, ma 20 Lst. in più che, per essi, costituiscono effettivamente nuovo valore. Come va adesso, il calcolo? Essi hanno ceduto gratuitamente per 100 Lst. di merci, giacché le 100 Lst. in denaro con cui in parte sono stati pagati erano denaro loro proprio: la loro propria merce è stata loro pagata con loro proprio denaro. Dunque, perdita di 100 Lst. Ma, inoltre, hanno ricevuto 20 Lst. per eccedenza del prezzo sul valore: dunque, guadagno di 20 Lst.; questo più la perdita di 100 Lst., fa una perdita di 80 Lst.: non ne esce mai un plus, resta sempre un minus. La truffa perpetrata a danno degli oziosi ha ridotto la perdita degli industriali, senza per questo trasformare perdita di ricchezza in mezzo di arricchimento. È un metodo, tuttavia, che non può andare all'infinito, essendo impossibile che gli oziosi paghino annualmente 120 Lst. in denaro, se incassano annualmente soltanto 100 Lst. in denaro.
Vediamo l'altro metodo. Gli industriali vendono merci del valore di 80 Lst. per le 100 Lst. in denaro che hanno versato agli oziosi. In questo caso cedono, come prima, gratuitamente 80 Lst. sotto forma di rendita, interesse, ecc. Con questa truffa hanno ridotto il tributo agli oziosi, ma esso esiste ancora, e gli oziosi, secondo la stessa teoria che fa dipendere i prezzi dalla buona volontà dei venditori, sono in grado di esigere in futuro, per la loro terra e il loro capitale, 120 Lst. in rendita, interesse, ecc., invece di 100 Lst. come prima.
Questo brillante sviluppo è degno in tutto e per tutto del profondo pensatore il quale, da un lato, trascrive da A. Smith che
«il lavoro è la fonte di ogni ricchezza» (p. 242),
che i capitalisti industriali
«impiegano il loro capitale per pagare un lavoro che lo riproduce con un profitto» (p. 246),
e, dall'altro, conclude che questi capitalisti industriali
«nutrono tutta la restante umanità, essi soli aumentano la ricchezza pubblica e creano ogni nostro mezzo di godimento» (p. 242);
che non i capitalisti sono nutriti dagli operai, ma gli operai dai capitalisti, e ciò per la brillante ragione che il denaro con cui vengono pagati gli operai non resta nelle loro mani, ma ritorna costantemente ai capitalisti in pagamento delle merci prodotte dagli operai.
«Essi ricevono semplicemente con una mano e restituiscono con l'altra. Il loro consumo va quindi considerato come prodotto da coloro che li assoldano» (p. 235).
Dopo questa esauriente esposizione della riproduzione e del consumo sociali, così come sono mediati dalla circolazione monetaria, Destutt prosegue:
«È questo che completa il perpetuum mobile della ricchezza, un movimento che, sebbene mal compreso» (mal connu - certo!) «è stato a buon diritto chiamato circolazione, perché in effetti è un cerchio e torna sempre al punto di partenza, il punto nel quale si compie la produzione» (pp. 239, 240).
Destutt, that very distinguished writer, membre de l'Institut de France et de la Société Philosophique de Philadelphie, e invero, in certo qual modo, un luminare fra gli economisti volgari, prega infine il lettore di ammirare la stupenda chiarezza con cui egli ha illustrato il corso del processo sociale, il fascio di luce che ha gettato sull'argomento, ed è perfino condiscendente al punto da comunicargli da dove tutta questa luce provenga. E questo bisogna darlo nel testo originale:
«On remarquera, j'espère, combien cette manière de considérer la consommation de nos richesses est concordante avec tout ce que nous avons dit à propos de leur production et de leur distribution, et en même temps quelle clarté elle répand sur toute la marche de la société. D'où viennent cet accord et cette lucidité? De ce que nous avons rencontré la vérité. Cela rappelle l'effet de ces miroirs où les objets se peignent nettement et dans leurs justes proportions, quand on est placé dans leur vrai point-de-vue, et où tout paraît confus et désuni, quand on en est trop près ou trop loin» (pp. 242-43). («Si osserverà, spero, come questo modo di considerare il consumo delle nostre ricchezze concordi con tutto ciò che abbiamo detto circa la loro produzione e la loro distribuzione, e nello stesso tempo quale chiarezza spanda su tutto il cammino della società. Da dove vengono questo accordo e questa lucidità? Dal fatto che abbiamo incontrato la verità. Ciò ricorda l'effetto di quegli specchi in cui gli oggetti si disegnano nettamente e nelle loro giuste proporzioni quando si è posti nel loro vero punto di vista, e in cui tutto sembra confuso e disunito quando se ne è troppo vicini o troppo lontani».)
Voilà le crétinisme bourgeois dans toute sa béatitude!2